mercoledì 30 dicembre 2009

Saggezza a punti per il nuovo decennio


Punto 1)
Non dedicare tempo a sterili disquisizioni algebriche sul Punto in cui inizi effettivamente il nuovo decennio. La risposta giusta l'avevi già scoperta, difesa e discussa in fastosi simposi accademici alla vigilia del 2000. Ricordi? Nulla è cambiato, teoricamente parlando. O quasi.

Punto 2)
Impara a dire di NO e a vivere un pò meglio. E se hai bisogno di un Punto di partenza o di un prezioso supporto teorico, la risposta è sempre il link a questo libro. Io l'ho letto, e posso dire che qualcosa in me è cambiato. Come direbbe il filosofo Zalone di Elea (detto anche Checco), sarei un ipocrita se dico il viceversa.

Punto 3)
Smetti di lottare con la tua riga al centro: non PUOI vincere. O ti cresci i capelli al Punto giusto, cioè quel tanto che basta per non avere opzioni professionali alternative alla rockstar e al guru, o spera di (e impegnati a) perderli il prima possibile.

Punto 4)
Non è che tuo padre non apprezzi o non capisca quello che hai studiato, che stai diventando o che vuoi diventare. Ok, magari un pò si, ma come dargli torto? Il Punto è un altro. Quello che davvero lui non riesce a lungimirare è se, con quelle cose, riuscirai in qualche modo anche a camparci. E tu, di certo, non fai nulla per rassicurarlo se continui a mugugnare quando ti richiede ciclicamente i possibili sbocchi del tuo percorso. E se ancora non ne hai la minima idea manco tu, inventa! Ma insomma, te lo devo dire io?

Punto 5)
Neanch'io sono scaramantico, credimi. Ma se sei in tempo, per quest'anno fa come me: dì ai tuoi amici e parenti che, se proprio devono farti gli auguri per l'anno nuovo, almeno stavolta ti augurino semplicemente un
2010 DI MERDA. Punto.
Magari così funziona...


Comunque, in alternativa, ci sono sempre la radiosveglia e lo zainetto viola.
Coi punti, intendo.

giovedì 17 dicembre 2009

Recensione negativa: - 10 Inverni


Dieci inverni non è un'altra storiella d'amore zeppa di banalità, soprannomi, stringature, genitori distratti, lucchetti e scritte sui muri.
La storia non si svolge nell'arco di pochi giorni o di alcuni mesi, ma copre l'ampio arco temporale sintetizzato poeticamente nel titolo.
Per quanto sconclusionati ed indecisi, i due protagonisti non appaiono come i soliti snervanti e macchiettistici personaggi che stanno affollando la letteratura giovanilistica italiana negli ultimi anni. Provano emozioni contrastanti, hanno dialoghi e reazioni normali e non cercano di sembrare sempre più grandi di quello che sono.
La regia non cerca di accattivarsi solo un pubblico adolescenziale con scene forti o guizzi videoclippari, ma riesce invece ad essere inaspettatamente pacata e graziosa.
La mia mente mi ha riportato subito al bellissimo UN AMORE, di Gianluca Maria Tavarelli, che presenta alcune analogie strutturali e di trama con Dieci Inverni ma che non ha, probabilmente, la sua stessa dinamicità e leggerezza (cosa che, all'epoca della sua uscita, non gli portò molta fortuna, relegandolo anzi un pò ingiustamente a prodotto inellettuale e di nicchia).
E, per inciso, UN AMORE è uno dei miei film preferiti, e non esiterò mai a difenderlo a spada tratta, all'occorrenza. Anche se non credo che si presenterà mai questa necessità...

In sostanza, nel complesso, per me non si può parlare male di questo film. Non ci sarebbero i presupposti teorici, tecnici e - soprattutto - emotivi per farlo.
Ma soprattutto: Dieci Inverni è un film che ho ritenuto bellissimo - probabilmente il più bel film italiano dell'anno - ma che emotivamente, proprio come avevo previsto, non mi ha certo fatto bene.
Se non volessi usare un eufemismo, potrei dire che mi ha proprio devastato. E la sua conclusione, sebbene non totalmente drammatica (è questa una delle analogie più forti col film di Tavarelli), di certo non dà alcun conforto reale agli animi sensibili.

Ai titoli di coda, il pubblico in sala ha avuto il bellissimo accompagnamento musicale di Parla piano - del bravissimo Capossela - ad intensificare, con diverse gradazioni, l'effetto di commozione finale. Io però, dopo l'ultima dissolvenza, non ascoltavo davvero il buon Vinicio. Sentivo ed apprezzavo quella scelta, ma il mio personalissimo Play cerebrale aveva avviato già un'altra canzone.
Forse non la più appropriata in assoluto, ma quella che io immaginavo come la naturale conclusione di cotanta esperienza mistica.
Questa.



E qui, il link con testo e traduzione.
Non che servano veramente.

domenica 13 dicembre 2009

"I'm not Superman" (video SPOILER)



Non lo sono mai stato. Nè ho fatto mai credere di poterlo essere.
Per questo motivo, visto che questo motto/tormentone mi ha accompagnato per otto lunghi anni, ripetendosi breve e cantato nella sigla della mia serie preferita, non sarebbe giusto nascondere - per rispetto del suo insegnamento -
La Mia Reazione
alla fine del longevo ed inimitabile SCRUBS, da poco conclusosi su MTV.
L'ultima puntata dell'VIII serie, più breve delle altre (tolta la sfortunata annata dello sciopero sceneggiatori), si è conclusa con una sequenza così commovente e ben musicata che il magone e gli occhi lucidi sono state reazioni del tutto immediate ed incontrollabili.
Probabilmente nulla di eccezionale per chi non è cresciuto con la combriccola del Sacro Cuore, ma per i fan di JD & Co quei minuti sono stati tristi e struggenti come la sequenza senza dialoghi di UP.
E nonostante gli alti e i bassi delle ultime stagioni, si può dire che la serie si sia conclusa mantenendo comunque uno standard davvero alto.

In realtà in queste settimane, negli USA, sta andando in onda una nona stagione, che pare sia davvero l'ultima. Ma siccome la chiusura avvenuta nella stagione precedente era proprio perfetta e pareva un sacrilegio riaprire a forza un'opera così magistralmente conclusa e sedimentata, non hanno avuto il coraggio di lasciare il titolo della serie classica - il semplice Scrubs -, ma lo hanno modificato per l'occasione in Scrubs - Med School.

Ma come feci anche con Happy Days, che decisero sciaguratamente di far continuare dopo la bellissima - e assai tardiva - conclusione (in cui, al matrimonio di Joanie e Chachi, lo stesso Howard Cunningham guardava in camera augurando a tutti di trascorrere dei "giorni felici"), non considero ciò che viene dopo come serie ufficiale. Semplicemente, non sarebbe giusto.
Lo ritengo al massimo un'appendice apocrifa, uno sciacallaggio mediatico. Se non un impeto di necrofilia febbricitante.

Bisogna sempre aver rispetto dei morti.
Soprattutto se, nonostante la disgrazia in cui erano caduti in vita, sono riusciti a spegnersi con relativa dignità.



mercoledì 9 dicembre 2009

Dilemmi del gladiatore induista


"...e avrò la mia vendetta.
IN QUESTA VITA, O NELL'ALTRA!"

"Si, ma quale? N'a prossima io so' un sasso..."

"Mmm, fammi controllare. Facciamo l'altra ancora, sempre se... uhm... no, poi non posso io. Vediamo se ho impegni per la terza... (dov'è dov'è dov'è, AH, ecco). No, nemmeno la terza. La quarta direi di no, perchè sono un paramecio... ECCO! La quinta è libera. Tu come stai messo con la quinta?"

"Eh, no o' so, io arrivo solo fino a' terza. Diciamo che nun ce dovrebbero sta' probblemi. Karma permettendo..."

"Ok, allora vada per la quinta."

"Ma: e se i miei cicli e i tuoi nun dovessero combacia'? No, dico, se ci ritrovamo che tu sei 'n vecchio norveggese decrepito ed io 'n chihuahua brasiliano di 3 mesi?"

"Un che?"

"Niente, lassa perde. Ma senti: perchè nun famo ora, così nun ce pensamo più?"



lunedì 7 dicembre 2009

Astroboy: il (mio) mito retroattivo


Non c'è una ragione precisa. Il marketing non c'entra molto, in questo caso.
All'inizio, avevo saputo della produzione di un film animato su Astroboy. Mesi dopo, per conto di DoppioSchermo, avevo scritto un articolo sul fenomeno Astroboy in occasione dell'anteprima del suo film alla Festa del Cinema di Roma.
Ma facendo un passo indietro, nel Gennaio di quest'anno avevo visto, durante il mio viaggio giapponese, un ghiottissimo manga ancora inedito (allora) da noi: PLUTO, del bravissimo Naoki Urasawa. E in copertina si leggevano i nomi di due autori celebri: lo stesso Naoki Urasawa e - colpo di scena! - niente di meno che Osamu Tezuka.
All'inizio mi era venuto in mente che potesse essere una sceneggiatura inedita, ma decisi di non indagare perchè non volevo rovinarmi la sorpresa della scoperta quando fosse uscita la versione italiana.
Nel frattempo avevo comprato - e solo sfogliato - il prezioso volume Tezuka secondo me, di Takao Yaguchi (il creatore del longevo ragazzo pescatore Sampei), dove il mito del dio dei manga veniva rispolverato attraverso una carrellata dei suoi personaggi. Compreso ovviamente il celeberrimo Astroboy.
Quando è poi finalmente arrivato qui in Italia PLUTO, ho scoperto che si trattava di una personale rielaborazione proprio del personaggio di Astroboy. Quando ho cominciato a leggerlo, quindi, avevo già in qualche modo una notevole apertura verso l'icona del bambino robot.

Ma, giunto al quarto volume (l'ultimo uscito finora) del manga di Urasawa, ho capito che qualcosa non tornava. Va bene: lui è un genio, e se ha partorito una genialità come MONSTER è difficile che possa sfornare qualcosa che sia bello anche solo un pò meno della metà. Ma il mio dubbio era: può un personaggio così "antico", così "solare", così "ingenuo" come il buon vecchio Astroboy essersi sedimentato in maniera così violenta e matura nella mente - seppur geniale - del giovane Urasawa, e portarlo poi - in età matura - a scrivere una storia così intensa e disperata?
Qualcosa non tornava. E così mi sono procurato quello che credevo essere il primo episodio della serie animata originale di Astroboy. L'ho guardato tutto, e mi è sembrato fin troppo drammatico e poco "infantile" considerando l'epoca a cui doveva risalire. Tuttavia, anche lì mi è venuto un dubbio: ciò che stavo vedendo era a colori, e l'animazione - per quanto potesse essere frutto di restauro - era comunque troppo fluida per gli anni che pensavo dovesse avere. Mi rendo conto solo alla fine che si tratta di una serie remake dei primi anni 80, comunque notevole.
Allora vado alla ricerca della fonte originale: la mitica, primissima, serie. Anni 60, bianco e nero. Doppiata in inglese (o in originale sottotitolata). E anche in questo caso, nemmeno il mulo ha potuto aiutarmi.
Ho dovuto rinunciare alla febbre del possesso, e mi sono accontentato della splendida opportunità della sola condivisione on-line. Grazie mille, Youtube.

E adesso, sperando di scuotere un pochino anche una sola anima sensibile, vi invito a guardare questo filmato. E' solo la prima parte della prima puntata. Ce n'è un'altra della stessa lunghezza, e poi un terzo video molto più breve.
Ma dovete farlo davvero. Quando avete un pò di tempo, calma e un pizzico di spirito nostalgico.
E se il clima prenatalizio non dovesse aiutarvi molto in questo, fate finta che siamo a Maggio.
E poi, in tutta sincerità, fatemi sapere che impressioni avete avuto.

Solo una cosa: cercate di farlo PRIMA che un film animato natalizio dal titolo stranamente familiare possa sporcare tutto questo.

PRIMA...




mercoledì 2 dicembre 2009

IperUranio Impoverito (O dei danni dell'Idealizzazione in chiave ascendente)


Spesso si parla dei danni dell'idealizzazione in chiave discendente. Idealizzare una persona, cosa o situazione porta ad una forte delusione quando la si vive poi nel suo contesto reale, con tutti i suoi difetti e asperità. Lo scarto fenomenologico, in questo senso, è sempre negativo.
Ma esiste anche un'altra direzione, in cui procedere, per arrivare allo stesso tipo di sconforto. Un approccio esatto e contrario, che forse chiamare ascendente è tanto inappropriato quanto lo è stato usare l'aggettivo opposto in apertura.
Vivere nell'idea è pericoloso non perchè si possa rimanere delusi dalla contingenza, dalla manifestazione specifica e tangibile. E' pericoloso perchè ci si può rendere conto che la realtà è terribilmente (e neanche troppo inaspettatamente) più bella dell'astrazione. Proprio per i suoi splendidi compromessi, per le sue infinite variabili, per tutto ciò che rende umana l'esperienza sensibile.
L'idea, in quest'ottica, non è più un rifugio fantastico e perfetto, ma una sorta di porto franco scialbo, un modello base. Un kit dell'Ikea. Un template incolore.

L'esempio più pratico e facile da illustrare è sempre quello amoroso.
Idealizzare una bellezza diafana (o mediterranea: fa lo stesso), eterea, sublime, dolce, elegante, pacata ed aproblematica sarà forse meno grave che vivere sognando - che so - un volto che ronfa sgraziatamente, un tic impercettibile, una voce irregolare, una personalità lunatica, o una configurazione casalinga scomposta e poco sensuale. E questo, semplicemente, perchè nel primo caso difficilmente si rasenterà mai la realtà, mentre nel secondo può capitare di prenderci quasi in pieno. Ma quando questo accade si scopre che lo scarto con l'idea, seppure apparentemente minimo, è in realtà insanabilmente viziato ed irrecuperabile.
Il luogo.
L'età.
Fattori etici o culturali esogeni.
Ma soprattutto, e molto più banalmente e frequentemente:
la durata.

L'uomo potrà lavorare ancora per qualche milione di anni su di sè e sulla perfettibilità della sua esistenza, ma non riuscirà mai del tutto a concepire la propria (auto)realizzazione in una dimensione temporale che non sia la stramaledetta
eternità.
E' solo questo, in fondo, il vero problema dell'idea: lo spazio-tempo.
Del resto, lo è sempre stato. Fin dai tempi di Platone.

E poi, pensate anche a Hiro Nakamura.
O a Mr Manhattan.