La crisi deprime gli animi ma
aguzza l’ingegno, si sa. Ed è forse con questo spirito goliardico che anche su
Facebook impazza la corsa all’invenzione delle professioni più strane. Roba
tipo lo "spingitore di cavalieri" di vulviana memoria. Ecco: io avrei
in mente almeno una caterva (se non due) di lavori ancora inediti che mi
piacerebbe vedere operativi. Ma oggi illustrerò quello che, a mio parere, si
presenta come il più urgente.
Come
anticipato nel titolo, se ne avessi le capacità e la possibilità (e magari mi
retribuissero anche solo un po’ per farlo), mi piacerebbe diventare un ritradizionatore. Dicitura impropria
che, per intenderci, vorrei riferire ad un professionista che si occupi di
"codificare retoriche, mitologie,
iconografie, luoghi comuni, citazioni e finanche lessici nuovi ed attualizzati
in relazione a differenti campi dell'esperienza umana, affettiva o sociale ove
gli elementi tradizionali elencati risultino ragionevolmente stantii, limitanti
o inappropriati per mutate variabili contestuali e storiche".
Come
al solito, l'esempio più immediato e chiarificatore risulta quello amoroso. Ci
sono dozzine di situazioni stereotipate che la letteratura, il cinema, l'emulazione
e persino il galateo hanno consolidato nei secoli. E' cambiata forse un po’ la
forma - talvolta le sfumature - ma non la sostanza.
Il ventaglio è sconfinato: si può
andare dal classicismo simbolico delle rose come apoteosi romantica alle più
crude implicazioni dialettiche e psicologiche (di ogni tipo, anche legale)
della separazione, passando per la polemica indipendenza/complementarietà
affettiva, le discussioni sul ruolo della gelosia o della memoria nella coppia,
gli imbarazzi annunciati del rivedersi da ex, l'immancabile satira sulle
suocere, il lessico mieloso e miagolante dell'intimità, la geometrica
prevedibilità comportamentale nelle situazioni di crisi o di euforia amorosa,
gli istituzionali fiumi di conversazioni telefoniche degli inizi, la graduale e
a quanto pare fatalisticamente inevitabile fine della passione con avvento -
addirittura - della noia. Culminante in una rottura scioccante che tutti gli
altri non tarderanno ad ammettere, con una inquietante ma assai ricorrente
sensitività retroattiva, di avere già previsto da mesi.
Insomma, è PROPRIO NECESSARIO?
Dico io: ma a Muccino (dio mio,
Muccino...) chi gliel'aveva messe in testa tutte quelle sciocchezze che ha
fatto rappresentare ai vari Accorsi, Mezzogiorno e Morante? Perché il finale di
Closer deve sembrare così
universalmente impietoso? Perché Se mi
lasci ti cancello (sigh!) è diventato una specie di chemio emotiva per
tutti i "lasciati" mediamente sensibili del pianeta? Chi ha permesso
che Sex & the City si elevasse a
manifesto occidentale di una idea usa e getta degli uomini? E perchè spendere
decenni ad alimentare reciproche frustrazioni di genere su qualità che uomini e
donne presumono sessualmente esclusive (siamo dalle parti del leggere le
cartine e/o chiedere indicazioni)?
Io NON CI STO.
La
tua relazione è finita? Bene. La Ritradizione
prevede che ora puoi essere davvero completo nella tua solitudine e che mai più
avrai modo di disperarti del passato o preoccuparti del futuro perchè passerai
il resto della tua vita zen a costruire galeoni (modellini, ovviamente) e a
dare nomi di piante a tutti i componenti del sesso opposto.
Devi ancora recuperare le tue cose
da casa di lei? Fiumi di romanzieri, sociologi e perfino registi hanno
tramandato la sana Riconsuetudine di organizzare
un maestoso pranzo di gala fra ex, dopo il quale i più stretti amici di
entrambi aiutano lui e la sua vecchia convivente a spostare tutta la sua roba
in scatoloni rigorosamente colorati, alcuni dei quali - e solo alcuni -
verranno poi catarticamente bruciati in una valle (ormai per lo più in un
capannone abbandonato) in segno augurale per il futuro.
E, in quanto al dopo: pianti
disperati, bulimie, telefonate mute, antidepressivi e cinismo?
O per i baudeleriani: riti orgiastici innaffiati di assenzio e citazioni di
Palahniuk per sottolineare la riscoperta della vita vera?
Io DICO NO.
Applichiamo
il rituale del lutto klingon: prendiamo il corpo del defunto (nel caso
specifico, la foto del vecchio amore), guardiamo al cielo e lanciamo un urlo
ferino, atroce, squarciante, inumano. Poi lanciamo il corpo negli spazi
siderali. Così, senza messa, senza riti, senza lacrime, senza tempi di recupero
fisiologico. "Quello ormai è solo un corpo vuoto, per me. Fatene ciò
che volete". E poi di nuovo a combattere, a lottare, ad infuriarsi, con un
amplificato spirito kamikaze. Con un inspiegabile istinto suicida e nichilista,
complesso e fiero. In barba al buonismo di Picard, alle direttive federali e
agli universali culturali.
Così, giusto per azzardare un esempio. Anche se credo di essermi perso nella
metafora.
Il colmo, per uno che vorrebbe fare questo mestiere.
Non trovate?