Che poi uno dice ma è normale, le
mamme sono così, devono vantare i figli davanti agli altri, è nella loro
natura. E tu lì a spiegare che ti dà fastidio, che non è vero che sei così
bravo, che sta esagerando come al solito, che poi rischi di farti odiare. Ma lì
per lì non ti rendi davvero conto del perché. E' solo quando sei grande che lo
capisci appieno.
Le mamme passano anni ad alimentare
aspettative enormi su di te quando sei piccolo, sia all’interno che
(soprattutto) al di fuori della famiglia. Ma poi arriva il momento di mantenere
le promesse. Che tanto, essere bravi a scuola non è poi una gran cosa. È su
quello che farai dopo, che tutti
hanno gli occhi puntati.
Così, tutt'a un tratto, si crepa lo
specchio.
Il silenzio si espande. L'elefante
cresce in una stanza minuscola.
Tutti i tuoi amici - non solo i più
brillanti, ma tutti - sono a uno o più passi avanti a te.
Le loro mamme magari non li
decantavano come la tua. Forse non ne avevano proprio motivo. O erano solo più
distratte. O magari molto preoccupate. Eppure, adesso, guardano i loro figli e
le loro figlie con orgoglio, ripetendosi che non avevano dubbi. Magari qualche
riserva si, ma dubbi mai. E beati loro. I figli. Che da quell'orgoglio si
rafforzano e si riscaldano.
Visto? Te lo dicevo io, che non era
il caso. Mai fare promesse che non puoi mantenere. Come quella che sarei
diventato importante. O che avresti organizzato per filo e per segno il mio
matrimonio. O che saresti piombata nella mia futura casa senza invito ogni
volta che volevi perché ci sarebbe stata una stanza degli ospiti solo per te. O
che mi avresti dato sempre del filo da torcere viziando e ingrassando i miei
bambini e litigando con l'altra nonna per monopolizzare il tempo da passare con
loro.
Eppure, non è soltanto questo, ad
avvilirmi.
Quando mi chiedono se penso a te, se
qualche volta ti sogno, rispondo sempre nel modo più rassicurante. Credono di
essermi vicini e non mi piace l’idea di mortificarli. Non dico mai loro la
verità. Che cerco di non pensarti. Che spero di non sognarti. Perché quando
succede, non riemerge mai quello che vorrei. Nel suo viaggio a ritroso, la mia
mente si ferma sempre prima, troppo prima. Rivede solo un corpo bianchiccio e
martoriato, una testa glabra con una benda sull’occhio e tanti movimenti
affaticati. Riascolta pianti scarichi, urla senza fiato, rumori meccanici di
aspiratori. Si arena in quelle zone scure in cui ti ha voluto abbandonare per
salvarsi. Mi piacerebbe poter rievocare anche i momenti belli del passato. Ricordare
le risate, il cibo, le liti: le cazzate salvifiche alle quali si aggrappano gli
altri. E invece mi spettano solo le immagini strazianti degli ultimi giorni.
Quella volta a tavola in cui, sempre meno cosciente, ti sei guardata intorno
cercando chissà quale oggetto e hai detto: “Mi dovete uccidere”. Quella volta
in cui la tua malattia mi ha urlato contro una rabbia ultraterrena ed
ingiustificabile mentre mi pettinavo in bagno. E, soprattutto, la volta in cui
qualcuno, in quella fottuta stanza, mi ha scosso il braccio, sei secondi dopo
il tuo ultimo respiro, perché mi ero assopito sulla sedia accanto al letto e
ora bisognava uscire a chiamare il dottore. Ero rimasto vigile fino a
pochissimi minuti prima, cercando di leggere il mio fumetto come se nulla fosse
per impegnare i pensieri. Proprio io che rimango sempre seduto oltre i titoli
di coda, con te mi sono addormentato sul finale. Ironico, eh?
Comunque devo dirlo: su alcune
previsioni ti sbagliavi, o ti sbaglierai. Su altre, ahimè, non ti avevo creduto.
Un po' mi solleva che tu non abbia fatto in tempo a scoprire su cosa hai avuto
ragione: sarebbe stato più penoso vedere il tuo dolore che immaginarlo
solamente.
Ma ciò che mi rattrista davvero è che tu non sia riuscita a conoscere lei.
E tanto.
Ma ciò che mi rattrista davvero è che tu non sia riuscita a conoscere lei.
E tanto.
Ad ogni modo, per quello che posso,
ti faccio i miei auguri.
Per la prima volta, da quando non ci
sei.
E ti confesserò una cosa che non ho
ancora detto a nessuno.
Nonostante tutto, mi manchi.
In un modo che non ho ancora
imparato del tutto a realizzare. Un modo che, per omaggiare il tormentone di
cui mi sono appropriato da quella maledetta notte, non posso che definire “tutto
sbagliato”.
E: sì, lo so che non si fanno, gli
auguri in anticipo. Ma non lamentarti.
Domani, magari, non ne avrei avuto
la forza.
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