mercoledì 24 agosto 2011

Sarà Zagor a portarmi fortuna?

Fatto sta che la mia seconda "trilpletta" è capitata proprio su un numero con in copertina lo Spirito con la Scure. E lo stesso personaggio campeggiava in bella vista anche sul numero che ospitava il mio primo articolo per Fumo di China. Nostalgia e casualità.

Ad ogni modo, su FdC n. 194/195 (l'albo doppio estivo), già in edicola da qualche settimana, di mio potete trovare:
- un dossier su Rumiko Takahashi, la Regina dei Manga ;
- un articolo sul mitico Detective Conan ;
- una recensione dell'ultimo manga del mio adorato Naoki Urasawa

E sul prossimo numero, in edicola a settembre, una lunga sorpresa targata Giangidoe per tutti i fan di Leo Ortolani, il venerato papà di Rat-Man.

Come disse il cecchino:
non mancate!

giovedì 11 agosto 2011

Rispetto della Morte


Ho sempre accettato con entusiasmo il patto narrativo delle creazioni di lunga serialità. A prescindere dal genere di appartenenza, un racconto che procede per anni, a puntate, e che riesce a mantenere viva l'attenzione non può che meritare indulgenza. Ed è il motivo per cui si amano le saghe - letterarie, cinematografiche o videoludiche che siano -, i fumetti, i telefilm e (perchè no?) le soap opera. Tutti prodotti diversi, nati in ambienti (e con intenzioni) differenti, ma senza dubbio altamente fidelizzanti.

Detto questo, c'è un elemento che non ho mai troppo sopportato, in merito a queste creazioni. Qualcosa che va al di là di etica, morale o verosimiglianza (fattori che, in diverse combinazioni, è possibile non ritrovare insieme in molti casi).
Si tratta più che altro di una lacuna, o per lo meno di una clamorosa inefficienza. Un aspetto che ho trovato quasi sempre assente.

A volerlo definire prosaicamente, lo si potrebbe chiamare il rispetto della morte.

Intendiamoci: non parlo di quei decessi spettacolari e ricorrenti, fatti apposta per far uscire di scena dei personaggi per poi farli rientrare in maniera inaspettata ed inverosimile. Niente da dire su gente che sparisce in esplosioni che non ne restituiscono i corpi, eroi che finiscono teletrasportati in universi sconosciuti o coraggiosi che non riemergono da un tuffo suicida di venti metri in un mare agitato. Quelle sono morti di plastica, poetiche. Pura retorica dell'intrattenimento.
Io mi riferisco in realtà, al contrario, proprio a quelle morti che riducono a icona il proprio universo fantastico e sopra le righe optando per una soluzione offensivamente reale. Come sta succedendo ora a Stephanie Forrester, pilastro di Beautiful, che pur avendo superato due ictus, una sparatoria e dozzine di altri pericoli mortali, ha appena scoperto di avere un cancro ai polmoni al quarto stadio. E, cosa più grave (scoperta spulciando le anticipazioni), tale malattia non sarà nemmeno causa di una morte lenta, normale e in qualche modo "umana". Sarà solo l'ennesimo pretesto drammatico. Tutto si risolverà con una normalissima ed istantanea operazione. Niente tubi, niente chemio, niente radio. Niente perdita di dignità. Solo una saga strappalacrime nel fiume delle quasi seimila puntate della soap. La matrona tornerà a tessere le sue tele e ad insultare Brooke come nulla fosse. Pic indolor.

La mia domanda è: perchè? Perchè ricorrere a malattie e morti così reali, così quotidiane, riconoscibili, soprattutto in contesti che di realistico non hanno mai voluto avere nulla?
E' giusto usare la leucemia di un fan dell'Uomo Ragno solo per creare una storia commovente? Ha senso far scoprire a Bruce Banner di avere la sclerosi laterale amiotrofica per poi fargliela sconfiggere con una soluzione fantascientifica alla "Viaggio Allucinante"? Non è frustrante constatare come una delle scomparse più adulte e drammatiche del mondo a fumetti, come il suicidio di Kraven il Cacciatore, possa essere profanata in maniera così blasfema da una linea editoriale miope e fallimentare?

Bisognerebbe soffermarsi di più sul senso della morte che - come consigliavano i Monty Python - sul senso della vita. Svilire la portata di un evento quantificabile, constatabile e documentabile e rappresentarlo come un normale tassello narrativo è semplicemente ingiusto.
Nella vita reale, Stephanie sarebbe spacciata. O per lo meno, dovrebbe combattere per mesi e ridursi ad una larva umana, per darsi una possibilità. Così però no. E' troppo.
E' sbagliato.

Rispetto per la morte, ecco tutto.
La morte.
Che l'alibi della finzione non la rende una faccenda meno seria.
Gwen Stacy docet.

martedì 9 agosto 2011

Chi ha scritto Roger Rabbit?

Le sorprese sono come i rotoloni regina.
Pensavo che la massima epifania mediatica fosse stata, anni fa, la scoperta del romanzo originale di Forrest Gump. Una lettura deludente, alla luce di un film così bello. Ma già solo il fatto di scoprire che esistesse un libro da cui avessero poi tratto e trasfigurato una storia così bella, fu quasi commovente.

Adesso questa sensazione si è ripresentata, e il mio stupore è stato ancora maggiore.
Grazie ad una cara amica cinefila e gustosamente nerd, solo nel mio trentesimo anno di vita vengo a sapere che esiste il romanzo originale di Chi ha incastrato Roger Rabbit?
L'autore è un certo Gary Wolf, che nel 1981 scrisse il fatidico libro dal titolo Who Censored Roger Rabbit?
Poi, dieci anni dopo, partorì un seguito, tecnicamente slegato dal primo e (pare) più coerente con la storia narrata nel film. Il titolo di questo sequel è Who P-P-P-Plugged Roger Rabbit?

Purtroppo, cercando sia sul web che in alcune librerie britanniche, ho appurato che questi libri sono fuori catalogo da molto tempo. Segno che probabilmente non sono propriamente dei capolavori... Tuttavia sono riuscito a recuperare dei link utili per la fruizione "virtuale".
Il primo romanzo si trova qui. E' solo sfogliabile, ma per chi volesse solo leggerlo è l'unica alternativa che ho trovato.
Per il secondo, sto ancora cercando. Ho trovato solo un audiolibro, ma conto di riuscire a recuperare una versione leggibile anche di questo.

Intanto, mi crogiolo nel piacere di questo recupero. Tenendo basse tutte le aspettative del caso.
Non vorrei finire anch'io disciolto nella salamoia della delusione.