giovedì 31 luglio 2008

Good-bay


Su un recente numero di Internazionale (753) è apparso un interessante articolo sul sito di Ebay ed il suo creatore, il francese Pierre Omidyar. Dei vari aneddoti riportati, oltre a quelli riguardanti gli oggetti più bizzarri mai venduti sul sito -o le truffe più eclatanti operate per suo tramite-, mi ha colpito la leggenda metropolitana secondo cui "Omidyar avrebbe fondato l'azienda per aiutare la sua fidanzata a completare la sua collezione di sparacaramelle Pez".
Per la serie, l'amour non ha prezzo. Di riserva, per lo meno.
Sul destino di Ebay però il giornalista dell'articolo, Thomas Jones, è poco ottimista: "Con la diffusione dei siti gratuiti di social networking, senza contare l'onnipresenza di Google, Ebay è destinato a diventare sempre meno necessario. Perchè pagare una commissione del 2,5% quando un cd può essere messo all'asta su MySpace o Facebook, e i fan possono controllare la buona fede del venditore attraverso siti come Ebuyer Feedback? E' vero, tutto questo non è ancora possibile, ma presto lo sarà".
Se io fossi Ebay e non sapessi come fare per affrontare questa crisi, per evitare il fallimento sarei autoironico fino in fondo.
Mi metterei senz'altro all'asta.

martedì 29 luglio 2008

Casa Saddam


Con grande stupore e curiosità, apprendo che la mitica HBO (che ha partorito alcune fra le serie tv più belle degli ultimi anni) e la britannica BBC hanno dato vita ad una miniserie in 4 puntate sul dittatore iracheno Saddam Hussein, che ne racconterà l'ascesa e la vita politica senza però arrivare alla cattura e al processo finali. Il titolo è HOUSE OF SADDAM.
La prima cosa che ho pensato è che Saddam, ancor prima di essere uno statista molto discutibile, è sempre stato una star: sanitari d'oro a parte, uno che è stato protagonista di un intero film di South Park è senza dubbio una celebrità.
Ora però vorrei sapere se i bravissimi Luca e Paolo rivendicheranno i propri diritti d'autore ai colossi americano e britannico, visto che praticamente gli hanno rubato il nome della loro miniserie, creata ben prima di questa (e forse fin troppo a ridosso dell'attacco alle Torri).
Vedere il video per credere!

lunedì 28 luglio 2008

Cavalcare il pipistrello


E approfittando del momento magico del il Cavaliere Oscuro, il cui mito italiano è stato lucidato e brillantato dal recente bellissimo film di Nolan e da una serie di volumi e collane a fumetti di pregevolissima qualità e fattura ad opera -già da diversi mesi- della Planeta De Agostini, mi permetto in questa sede di elencare alcune saghe e storie di Batman che potrebbero soddisfare la sete di chi è uscito dalla sala con la schiuma alla bocca.
Innanzitutto, consiglio il recupero de IL RITORNO DEL CAVALIERE OSCURO di Frank Miller: una pietra miliare dalla caratura più che letteraria, anche se la chiave socio-politica della storia (e soprattutto del finale) potrebbero lasciare un ricordo spiacevole del personaggio. Esiste anche un seguito, che non ho ancora letto ma che mi hanno riferito essere più confuso e con meno mordente.
Imprescindibile è poi THE KILLING JOKE, facilmente recuperabile anche on-line o sul volume della Repubblica su Batman di qualche anno fa. Si tratta di una delle storie del Joker più analizzate, studiate ed apprezzate della saga del Pipistrellone, che indaga in modo maturo e spiazzante il rapporto morboso e speculare fra Batman e il suo psicopatico arcinemico. Lo slogan che la sintetizza un pò è una massima di agghiacciante realismo: la normalità dista dalla follia solo un giorno sbagliato.
C'è poi un'altra saga della collana Le leggende di Batman che io ho giudicato bellissima e che è un pò l'altra faccia di Killing Joke, ovvvero TORNARE IN SE (in originale, GOING SANE). Io la lessi in una vecchia edizione, ma chissà che presto non la pubblichi la provvidenziale Planeta De Agostini. L'idea vincente è che il Joker, in seguito ad un incidente per una volta dimentico del mostro che è stato e pronto a ricominciare una nuova vita con una ragazza che lo ama, vede gradualmente riaffiorare quella sua follia insensata -che era riuscito per un pò ad eludere- a causa della continua presenza di un vendicativo Batman nella sua nuova vita. Come a dire, con una metafora nemmeno troppo velata, che il Joker è frutto dell'ossessione di Batman. E -senza troppi forse- viceversa.
Per il resto, ci sono tante altre storie bellissime, molte delle quali io non ho letto che le sole recensioni. Ma almeno per quanto riguarda il rapporto Batman/Joker, queste elencate credo siano -fra quelle che io ho letto personalmente- le più importanti.
Su Harvey Dent/Due Facce non ho letto molto, ma posso senz'altro dire che IL LUNGO HALLOWEEN e FACE THE FACE (in Italia pubblicata nel volume BATMAN UN ANNO DOPO) sono davvero spettacolari.
Vorrei però concludere con la vera sorpresa di questi ultimi anni: il romanzo di Lansdale (noto scrittore pulp americano) su Batman, sbarcato un annetto fa qui da noi col titolo LA LUNGA STRADA DELLA VENDETTA. Anche se non compaiono i nemici storici di Bruce Wayne, la storia è avvincente ed inquietante come poche, sfruttando al meglio la prosa forte di Lansdale e l'immaginario metropolitano degradato già noto ai fan dell'universo freak di Gotham City.
Un bell'esperimento, sia per gli amanti della narrativa noir-pulp che per gli amanti dell'Uomo Pipistrello.
Domanda: ho tralasciato qualche perifrasi o sostituente lessicale per Batman, in questo post?
Ah, si, c'è anche "il più grande detective del mondo".
Anche se eventuali mangofili e lettori di gialli classici potrebbero obiettare...

sabato 26 luglio 2008

Prove tecnologiche

Per capire se ho capito come postare degli mp3 personali sul blog, comincio subito dalle due canzoni (una delle quali particolarmente estiva e poetica) che mi hanno portato a cimentarmi in questo tentativo tecnologico.
La prima è ZANZARA, di un gruppo bravissimo scoperto qualche anno fa e che mi auguro abbiano presto un successo di pubblico molto più ampio: Marcilo Agro e il duo Maravilha.
La seconda è L'INCOMPIUTA, di Pacifico. Altro cantautore bravissimo scoperto da qualche anno e ancora troppo in ombra, a mio parere, vista la sua bravura.
Inutile dire che su Youtube non ho trovato video con queste due canzoni (sennò manco mi ponevo il problema).
Perfavore, segnalatemi eventuali difficoltà tecniche. Se al primo tentativo l'ascolto non parte, provate a ricaricare la pagina e fate altri tentativi.
L'unica cosa strana notata per ora è che i nomi di artisti e canzoni nei due casi sono invertiti, ma quello è stato un mio errore di etichettamento... Sorry!

Buon ascolto!


Zanzara


L'incompiuta


giovedì 24 luglio 2008

Vietato chiedere l'elemosina!

Del resto, il vecchio D non se l'era fatto dire due volte.



E' vivo e non ha paura


Ringrazio stefania per aver segnalato a isline (dal blog della quale ne ho appreso l'esistenza) il blog di GABRIELE NIOLA, il cui link è http://sonovivoenonhopiupaura.blogspot.com/.
La foto in alto è la bella immagine di ispirazione hopperiana che fa da sfondo al nome del blog stesso.
Per chi ama il cinema, il seriale, il fumetto e i nuovi media, qui trova decisamente pane per i propri denti. Oserei dire, visto che ormai sono quasi romano, un bel panino con la porchetta.
Con un velo di maionese, che non guasta mai.

martedì 22 luglio 2008

Oscuro si, cavaliere però...

Freschissima la notizia secondo cui Christian Bale -protagonista del recente The Dark Knight, oltre che del precedente Batman Begins- è stato denunciato per aver aggredito la madre e la sorella.
Gli agenti di polizia dell'Hampshire, ai quali le sventurate avevano chiesto aiuto, sostengono che la tensione già accumulata ultimamente da Bale per l'uscita dell'atteso sequel si sarebbe esponenzialmente amplificata -fino alla inattesa e violenta reazione dell'attore- a causa di uno scherzo di cattivo gusto fatto dalle due familiari ai suoi danni.
Le due incoscienti gli avrebbero infatti rivelato -scegliendo evidentemente un momento emotivamente inopportuno- che pure questa volta il suo doppiatore italiano sarebbe stato Claudio Santamaria, aggiungendo poi il crudele e fantasioso particolare che questi avrebbe persino ottenuto di doppiare lo stesso ruolo anche per la versione spagnola e tedesca del film.

domenica 20 luglio 2008

Oltre quel nome, Oltre quella copertina.


Avevo poco più di 9 anni quando lessi il mio primo Dylan Dog. Era LA CLESSIDRA DI PIETRA. Per la prima volta, i miei occhi collegavano vignette e balloon a temi come la violenza, il sesso, l'alienazione, e soprattutto la paura.
A quello ne seguirono poi molti altri, tutti passatimi -forse inconscientemente, ma credo di no- dal primo ragazzo di mia sorella.
La mia esperienza di lettore di fumetti si era fino ad allora limitata a Tiramolla (non ho mai amato il troppo inflazionato Topolino), ma con Dylan Dog iniziò la mia passione "seria" per la nona arte.
Cominciai a leggere costantemente inediti e ristampe ed arrivai al numero 100 che conoscevo tutti gli albi precedenti, e persino qualche speciale. Ma fu proprio quel numero 100 a rompere l'incanto: l'ipercritico tredicenne che ero mi impedì di fingere che quell'episodio non fosse la fine "reale" della serie e di continuare dal mese dopo a leggere le avventure successive come se nulla fosse. Lo trovavo un vero e proprio tiro mancino, una truffa, un gioco coi miei sentimenti di fan.
Solo tempo dopo tornai a leggiucchiare qualche albo, recuperando nel frattempo qualche chicca del passato. Ma per lo più Dylan Dog rimase una presenza in stand-by, pronta ad essere occasionalmente addentata in fretta e quasi solo a scrocco.
E' stato solo nel 2005 che ho pensato seriamente: ma perchè mai uno come me non colleziona Dylan Dog in modo fedele e completo? Precisamente mi è capitato dopo la lettura di un numero che avevo comprato in modo impulsivo e del tutto autonomo -dopo anni di totale assenza dylaniana dalla mia vita- perchè avevo letto per puro caso un riassunto sul web.

L'albo in questione era OLTRE QUELLA PORTA (n.228).

La storia -sceneggiata dalla da me notoriamente apprezzatissima Paola Barbato- è una delle più atipiche, controverse e discusse di tutta la collezione. Non avevo letto -nè l'ho fatto dopo- i fiumi di discussioni presenti nei forum su di essa, ma quando finii la lettura mi si abbozzò un sorriso di stupore e soddisfazione di quelli ormai sempre più rari.
A differenza di quasi tutti gli altri albi, lì avevo colto -o meglio, subìto- sentimenti indiscutibilmente personalissimi dell'autrice: l'amore per un personaggio non creato da lei ma adorato come fosse suo, e contemporaneamente l'odio per tutte quelle scelte che negli anni avevano reso lo stesso schiavo (come la sua sfortuna con le donne o il suo anacronistico romanticismo); il rispetto verso i mai abbastanza approfonditi comprimari, raramente così umani e dignitosi come in questo caso (la sequenza con Groucho è da applauso); la rabbia di aver assistito per anni all'accantonamento di ciò che si era imparato ad amare, solo per seguire una linea precisa e severa (ed ecco una sequenza che ridà imprevedibilmente spazio e sostanza al mai dimenticato Xabaras).
Sono sicuro, dalla ritrosia che la Barbato stessa ha manifestato in più occasioni a fornire commenti o delucidazioni sull'interpretazione di quella particolare storia, che dietro di essa possano esserci ulteriori chiavi di lettura connesse ad esperienze fortemente personali ed intense, forse sofferte. Chiavi, magari, completamente diverse da quelle che ho creduto di trovarvi io e foriere di tutt'altro tipo di messaggi e intenzioni.
Ad ogni modo, una lettura che davvero ha poco a che fare con la media dei classici fumetti da edicola. Dal punto di vista narrativo, mi azzardo a definirla una storia "meta-autoriale".
Per chi l'avesse persa la prima volta e volesse recuperarla, è in edicola da martedì di questo mese la ristampa. E avrà il VERO FINALE concepito inizialmente dalla Barbato.
Forse più ostico. Sicuramente meno immediato.
Probabilmente non dall'interpretazione così graniticamente univoca.
Per chi non ha mai letto o ha letto pochissime volte Dylan Dog prima d'ora, sarebbe la storia forse meno adatta per avvicinarvisi. Ma non si può mai dire...
Credo che poche altre letture disegnate renderebbero una torrida giornata di mare così salvifica.

giovedì 17 luglio 2008

Perdite in serie (o Riflessione metalinguistica con finale taoista)


Uno degli innegabili vantaggi della rete -soprattutto per i gggiovani- è senza dubbio la possibilità di bruciare i tempi d'attesa per godersi le proprie serie preferite, e spesso anche alcuni film dal Dubbio Destino Distributivo (le mie più odiate 3D).
Oltre a rendere meno ostica la fruizione di video con sottotitoli (cosa che a lungo andare potrà permettere pure un uso più completo del dvd, e magari inaspettati indugi di fronte a qualche film notturno sottotitolato di Fuori Orario), questa pratica ha senz'altro reso più masticabile e meno astruso anche il solo "ascolto" dell'americano. Per lo più quello parlato, certamente, ma in base al registro della singola serie capita anche di sentire espressioni più standard e dalla pronuncia più pulita.
Ora, prescindendo dai discorsi legati alla legalità o alla socialità del download legale o illegale, il dubbio che ho più o meno dagli inizi di questo fenomeno è: che ne è dei giochi di parole, delle ambivalenze linguistiche?
Voglio dire: se un gruppo di fansubber (SANTI INDIVIDUI!!) traduce tutto nell'arco di poche ore e mette in rete l'episodio uscito negli USA il giorno prima -senza l'antico vantaggio di poter guardare e studiare gli episodi successivi- si dà per scontato che se ci sono enigmi o battute legati ad ambiguità della lingua madre che non riguardino una singola battuta ma facciano invece da filo conduttore dell'intera stagione, questi non verranno colti se non da chi quella lingua madre un pò la conosce già.
Certo, coi sottotitoli si possono aggiungere note esplicative a sottolineare eventuali giochi, doppi sensi o semplici curiosità (cosa molto diffusa fra i fansubber di cartoni giapponesi). E poi ci sono i siti di appassionati che sviscerano ogni passaggio poco chiaro o che contenga citazioni, anche solo alla lontana. Ma fino a qualche tempo fa il fan era costretto a seguire -e subire- gli adattamenti italiani fin dall'inizio, spesso perdendo solo delle sfumature ma altre volte anche qualcosa di più.
Insomma: cose tipo "Redrum-murder" invece di "Etrom-morte". O, sempre per rimanere nello stesso spettacolare film, "All work and no play makes Jack a dull boy" al posto del più generico e meno coerente "Il mattino ha l'oro in bocca". E anche se c'era sempre Kubrick a supervisionare tutto, certo non si può dire che il livello di comprensione sia identico in entrambe le versioni...
Questo tipo di problematiche è ancora più presente nei fumetti. Quelli giapponesi in primis, dove i problemi di traduzione a breve, medio e -ahimè- lungo termine portano a delle vere e proprie impotenze da parte dei traduttori, che spesso necessitano di fittissimi interventi in nota o addirittura di pagine dedicate a fine albo per evitare di far perdere ai lettori dei passaggi nella comprensione stessa della trama.
Personalmente credo che nel caso delle serie americane gli sceneggiatori, che di certo non ignorano le dinamiche globali della rete, saranno sempre più attenti a non puntare mai su caratteristiche troppo autoctone -almeno linguisticamente parlando- in favore di una comprensione più immediata ed internazionale. Già adesso accade di meno. Anche nei film, dei quali tra l'altro i titoli qui da noi vengono tradotti sempre meno.
Un grande yang e un -forse- piccolo yin.
-Forse-.

mercoledì 16 luglio 2008

A Zacinto



La notizia, ormai non più tanto fresca, è quella della gara svoltasi in Grecia.
Una cosa tipo a chi mangia più cocomeri. Con la differenza che a vincere sono comunque i cocomeri.

E dire che in questo periodo stavo proprio pensando che l'anno prossimo mi piacerebbe farmi una vacanza a Santorini...

lunedì 14 luglio 2008

Summer collection (2 stralci e 2 video musicali)


Primo stralcio:
"[...]Quel che fa paura
come il giallo lampeggiante
dopo l'ora di cena
come l'ora di cena
quando il giallo lampeggia
e non hai neanche il pane da mangiare
Quel che fa paura
come un battesimo bianco
consumato nel fango
come una cresima dal sapor di buco nero
e di nozze ammazzate gridando
'non aver paura, non aver paura' [...]".
Max Gazzè, Quel che fa paura (1995)

Secondo stralcio:
"[...]Scivolo nel fango gelido
Il cielo è un punto
Non lo vedo più
L’Uomo Ragno m'ha tirato un polso
Si è spezzato l’osso, ora
Dormo oppure sto sognando,
perché parlo ma la voce non è mia.
Dico Ave Maria
Che bimbo stupido
Piena di grazia, mamma
Padre Nostro
Con la terra in bocca
Non respiro
La tua volontà sia fatta
Non ricordo bene, ho paura
Sei nei cieli
E Lui guardava il Figlio Suo
In diretta lo mandò [...]".
Baustelle, Alfredo (2008)

Poi.
Un tributo personale, visto che non sono potuto andare al loro mitico concerto reunion:



Infine, un pensiero alla canzone estiva -ma non solo- più caratterizzante degli ultimi anni '90 (se poi a qualcuno, vedendo il video, venisse voglia di guardare Dr.Plonk al cinema...)

mercoledì 9 luglio 2008

26 e sentirli tutti.

FFFFFFFIIIIIIIIIIIIUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
(sarà l'onomatopea giusta?)

lunedì 7 luglio 2008

Sintetico (?) elogio pacato di Maison Ikkoku


Ebbene si, è giunta l’ora di dedicare un post al mio anime preferito. E come preannuncia il titolo, mi sono pure trattenuto. E per lunghezza, e per entusiasmo.
Qui da noi MAISON IKKOKU non ha avuto molta fortuna in tv: passato per lo più sulle reti locali, non credo sia mai stato trasmesso su una rete nazionale –anche se ricordo un fugace tentativo, poi subito abortito, da parte della fu TMC-.
La storia è quella di uno studente universitario squattrinato che vive in una pensione un po’ scadente, con degli inquilini più che molesti ma anche una giovane amministratrice vedova molto bella.
Per ciò che concerne la trama, i personaggi e tutte le curiosità possibili (col corredo di analisi e sviolinate introspettive più che giustificate) linko il sito più completo ed interessante sulla serie. Qui mi limito solo a sottolineare la dignità assolutamente cinematografica della stessa, che ha letteralmente fatto scaturire la mia passione per l’animazione giapponese prima e per la cultura giapponese tout court poi. Oltre a porre le basi per il mio amore verso le virtù della serialità.

I personaggi di Maison Ikkoku si evolvono - e il tempo scorre - DAVVERO (la storia copre circa 8 anni). Le situazioni e i riferimenti alla realtà giapponese e alle relazioni interpersonali in generale, seppure infarcite di elementi tipici della commedia romantica e dell’equivoco, sono di lodevole realismo. A livello stilistico, le continue inquadrature su alcuni particolari - persino i più banali oggetti fisici della realtà di tutti i giorni - o i tempi che i personaggi si prendono nel parlare, rispondere, riflettere o compiere azioni semplici e quotidiane, se da un lato rendono la narrazione lenta o poco cartonesca, dall’altro restituiscono il sapore di una normalità nonchè di una gradualità del corso naturale degli eventi che raramente in una serie animata si era colto prima.
Inoltre i momenti chiave che decretano la fine di questo lungo anime (96 episodi in tutto) non sono tutti concentrati nell’ultimo episodio finale, come quasi sempre accade in questi casi.
L’amore tra i due protagonisti non si corona solo con una catartica dichiarazione finale: la rivelazione dei sentimenti reciproci, già più che espliciti – e noti - ben prima dell’ultimo episodio, non è il solo traguardo finale. Alla dichiarazione vera e propria, diciamo “formale”, seguono anche altri sviluppi più pratici e maturi, che richiedono intere singole puntate dell’arco finale: ottenere la “benedizione” dal geloso padre di lei; risolvere l’annosa questione della stabilità lavorativa - e quindi economica - di lui; concretizzare in modo serio e adulto la rottura - ed ogni chiarimento - con la quasi ex di lui; andare nel paesino natio di lui per far conoscere lei alla famiglia; formalizzare il fidanzamento ed esorcizzare una volta per tutte (con un discorso di una lucidità impressionante) lo spauracchio della competizione con l'adorato ed idealizzato defunto marito. E, nell’ultimo episodio, solo e interamente il rito matrimoniale e la sua preparazione. Senza colpi di scena o complicazioni di sorta.
Soprattutto, la profondità di molti dialoghi ha poco a che fare con la comune cifra dei cartoni giapponesi. Di certo è pur sempre una serie per adolescenti - e diverse situazioni ruotano attorno ad equivoci e meccanismi comici anche semplici - ma se ancora oggi la adoro in questo modo è proprio per il COME piuttosto che per il COSA, come quasi sempre accade. Sentire la protagonista femminile - Kyoko - chiedere al protagonista maschile – Godai - come condizione per poter ufficialmente mettersi (e vivere) assieme, che lui viva più a lungo di lei (“mi basterebbe un solo giorno”) affinché lei non possa rimanere più di nuovo sola e soffrire come la prima volta, sono frustate di adrenalina in un’età in cui nei pigri pomeriggi post-studio si alternano le Tartarughe Ninja a Lotti.

Nella versione originale i dialoghi sono ancora più seri e ricchi di riflessioni profonde rispetto a quelli dell’adattamento italiano del cartone, e rispettano i registri linguistici più o meno formali che i personaggi e i protagonisti stessi adoperano fra loro (Kyoko e Godai si chiamano con titoli onorifici o per cognome e si danno del lei praticamente quasi fino alla fine).
D’altra parte, per fortuna gli episodi qui da noi non hanno subito tagli o censure eccessive, e sono state conservate anche quasi tutte le videosigle originali (qui in fondo, linko una delle mie preferite).
Non so quanti conoscano –o abbiano apprezzato- questa serie in Italia, ma non potevo non dedicarle il mio post più lungo ed appassionato (finora, almeno).
Spero di non tornarci troppo spesso in futuro, perchè tenderei sempre a farmi prendere la mano.
Una cosa è certa: se avessi uno strumento per misurare il gradimento di una serie animata, un'estremo sarebbe di sicuro Maison Ikkoku.
Per l'altro, ci devo ancora pensare.




sabato 5 luglio 2008

BE FAKE, REMAKE


In linea di massima, in ambito cinematografico:
posso apprezzare -e spesso essere grato per- alcuni rifacimenti più o meno recenti che dei predecessori rispettano magari solo vagamente il plot, lo spirito originale o qualche suggestione di fondo (come, che so, Ocean’s eleven, La mosca o il già decantato Battlestar Galactica );
posso arrivare a concepire –ma non fino in fondo- alcuni remake hollywoodiani di film usciti solo qualche anno prima e nemmeno troppo snobbati dal pubblico (come Vanilla Sky qualche anno dopo Apri gli occhi);
posso difficilmente arrivare a comprendere il motivo per cui un regista indipendente abbia deciso di rifare Psycho sequenza per sequenza, manieristicamente, senza quasi alcuna aggiunta propria (parlo dello Psycho di Gus Van Sant);
titubo molto cercando di giustificare il remake di un film girato dallo stesso regista del primo, ad uso e consumo del mercato internazionale e con poche varianti rispetto a quello nazionale (come The Ring 2 di Hideo Nakata, che rifà Ringu 2);
ma decisamente non capisco come possa un regista così interessante come Michael Haneke decidere di rigirare il suo neanche troppo vecchio Funny Games con attori più noti ma in maniera ESATTAMENTE IDENTICA (eccetto nomi e qualche battuta, adattati al contesto americano) al primo.
Il film lo vedrò, soprattutto per curiosità (e perché il regista è bravo), ma mi chiedo se siamo più dalle parti dello sperimentalismo di Van Sant o della follia commerciale mascherata da provocazione.

giovedì 3 luglio 2008

Carta bianca ai detective




(Attenzione! Questo post è il sequel di Scatologia dell'indagine)

Non so perché mi piaccia così tanto Detective Conan.
Forse perché ho cominciato a comprarlo con la sua prima edizione italiana (della defunta Comic Art) molti anni prima che diventasse famoso grazie al longevo cartone. Forse perché mi affascina quel meccanismo da art attack del delitto, dove banali ma complicatissimi marchingegni omicidi scommettono tutto sul perfetto equilibrio di fili da pesca, nastri adesivi ed insospettabili incastri di azioni ed oggetti quotidiani. Forse per il patto narrativo più azzardato che un manga con pretese realistiche abbia mai proposto, anche ad un pubblico per lo più adolescenziale.
Ad ogni modo, un fattore che si è aggiunto in corso d’opera è senz’altro la sua già decantata disinibizione scatologica.
E giusto per concludere l’aneddoto principale descritto nel post precedente, ho finalmente letto la conclusione del caso del Signore delle Purghe.
L’assassino aveva cosparso di veleno nientepopodimeno che il rotolo vuoto di carta igienica del bagno aziendale, affinchè il malcapitato si contaminasse le mani cambiando quello vecchio con uno nuovo. Conan ha anche spiegato come il killer abbia agevolato la deiezione della vittima aggiungendo i biscotti al caffè a merenda: “Quando si mangia, l’intestino entra improvvisamente in movimento peristaltico per cui, immettendo qualcosa nello stomaco, è facile che venga lo stimolo!”.
Al che qualcuno dei presenti, che era andato in bagno prima della vittima, trasale: “Se non avessi fatto solo la pipì, ci avrei lasciato la pelle?!”, ghettizzando inequivocabilmente la cartaigienica ad uso e consumo di faccende esclusivamente solide. Ma viene subito tranquillizzato: qualora avesse fatto la popò, il criminale stesso aveva previsto di dare a chiunque non fosse la vittima designata una salvietta detergente salvavita. E come avrebbe fatto a capire se qualcuno di non designato si stesse abbandonando ad operazioni di maggior peso? Dal rumore dello sciacquone, opportunamente predisposto per due tipi di scarico a seconda delle esigenze (giapponesi risparmiatori...).
Insomma, non c’è che dire. O meglio, ciò che avevo da dire sull’argomento l’ho già espresso nell’altro post. Non dovrei aggiungere altro. Però. Però. Immaginiamo per un attimo.
Quanto sarebbe ancora più umano e realistico un tenente Colombo il quale, tornando a sfinimento dal sospetto numero uno -seguendo la sua strategia di logorante tentennamento simulato-, scoprisse che il suo uomo intanto si è precipitato in bagno approfittando di quegli unici 5 minuti di (sperata) pace?
E cosa darei per sentire la iettatrice Jessica Fletcher avere la sua solita intuizione –con l’arcinoto tema musicale in sottofondo- guardando grata e illuminata il suo "disturbato" interlocutore confidente ed esclamando: “La diarrea? Ma certo, come ho fatto a non pensarci! Grazie, lei è un genio!”.
La risposta in entrambi i casi è: tantissimo.


mercoledì 2 luglio 2008

3NITALIA


Studiando un libro (di appena un anno fa) utile per la mia tesi, ieri ho appreso alcune cose molto interessanti sulle Ferrovie dello Stato.
A prescindere dalle varie anomalie gestionali evidenziate dall’analisi economica dell’azienda –alcune delle quali note, altre meno- ho finalmente capito meglio com’è strutturata e finanziata.
La società principale è FS s.p.a., i cui segmenti principali sono RFI s.p.a. (Rete ferroviaria italiana) e Trenitalia s.p.a. La FS spa è interamente posseduta dal Ministero dell’Economia e delle finanze, perciò –come dice l’autore stesso- “la privatizzazione rappresenta tuttora una prospettiva relativamente remota”.
Ora: i tre soggetti s.p.a. citati si configurano comunque come distinti, e ciascuno percepisce forme di finanziamento pubblico in modo differenziato.
Trenitalia, che si occupa della gestione del materiale rotabile e del servizio di trasporto, ricava i suoi introiti sia dai biglietti degli utenti –insufficienti- che dai contributi pubblici (di Stato e soprattutto regioni, ma non per il servizio nazionale).
Inoltre, nonostante un decreto legislativo recente (188/2003) a tutela della concorrenza che prevede la possibilità da parte di altri soggetti di stipulare contratti con RFI per l’utilizzo della rete –su licenza del Ministero-, la presenza di tali soggetti sul traffico complessivo è di meno dell’1% del totale.
Per non parlare dell’assurdità per cui il Ministero è insieme: proprietario di FS, soggetto che determina prezzi e contributi nonché controllore.
A questo punto la mia domanda è: delle inefficienze e della (non sempre, ma per lo più) scarsa qualità di Trenitalia/FS sono autorizzato ad incolpare lo Stato, oppure il fatto che da anni sia una “s.p.a.” renderebbe ancora tale esternazione ridicola ed imprecisa?