lunedì 28 settembre 2009

Inglorious dubbers


Non potevo aspettare: ho visto il nuovo (capo)lavoro di Tarantino in terra ispanica, in un cinema dove lo proiettavano in lingua originale con i sottotitoli.
Spesso dei dialoghi molto serrati non mi hanno permesso di leggere proprio tutti tutti i sottotitoli. Inoltre, laddove l'audio americano avrebbe potuto aiutarmi ad integrare i gap della lettura, l'accento marcato e lo slang sguaiato di Brad Pitt - principale causa della mia emicrania traduttiva - mi ha talvolta confuso ancor più le idee.

In generale, non saprei quantificare quello che perdo quando guardo un film sottotitolato. Sentii tempo fa che per leggere i sottotitoli di un film si arriva a perdere dal 40% delle immagini in su. E analisi più complicate calcolano addirittura la copertura media dell'immagine ad opera dei sottotitoli (in base al tempo di impressione ed alla grandezza dei caratteri), quantificandola in un modo che non ricordo più.
Ovviamente a questi fattori se ne aggiungono anche altri più soggettivi: il grado di attenzione che si sviluppa all'ascolto di una pellicola in versione originale, la personale velocità di lettura in generale - e dei sottotitoli in particolare -, la tendenza a distrarsi dalla narrazione per cercare di ricondurre il sottotitolo tradotto al dialogo originale quando la conoscenza dell'idioma lo permetta, la naturale propensione a perdere passaggi di intrecci e fabule per concentrarsi su dettagli scenici e incongruenze (o solo per limite personale), eccetera eccetera.
Ed è abbastanza intuibile anche come questo improvvisato elenco sia del tutto autobiografico. Ed in senso negativo.
Ma a prescindere da questo argomento generale - già oggetto di vasta letteratura - posso in questa sede dire che io, in quanto fan delle lingue, della traduzione, dei giochi linguistici e del doppiaggio, quando posso (e quando credo ne valga la pena) cerco di vedere ed ascoltare sia la versione originale che quella doppiata.

Quello che però mi chiedo relativamente al nuovo film di Quentin è questo.
Dato che nel film ci sono dialoghi:
- in americano,
- in francese,
- in tedesco,
e persino
- in italiano,
come diavolo si fa a doppiarlo?
Alla fine, come si fa sempre in questi casi, credo che si doppi solo la lingua madre del film e si usino i sottotitoli per le scene in altre lingue. Ma come faranno qui da noi per la sequenza in italiano? Cambieranno la nazionalità dei personaggi in questione, magari stravolgendo anche i riferimenti e gli equilibri politici del contesto bellico scelto, od opteranno per il solito dialetto napoletano/siciliano del caso?
Sono abbastanza trepidante, lo ammetto. Non credo che potrò evitarmi molto la lettura di altri sottotitoli, ma almeno recupererò qualche brillante perla dialogica smarritasi in quel di Siviglia.
E soddisferò la curiosità di capire che cavolo di accento/intenzione/intonazione intende trasmettere quel bastardo di Brad Pitt.



giovedì 24 settembre 2009

Oh Mamma... (o Sul dramma dell'Apolidismo incorporeo del Dr. Sam Beckett)

E' curioso che una delle serie che annovero nella mia top ten personale in realtà non l'abbia ancora mai vista nella sua interezza. Potrebbe addirittura per questo essere azzardata la seguente rflessione, ma è una cosa che mi ronza in testa da troppo tempo per poterla ignorare.
Per chi abbia seguito ed amato QUANTUM LEAP - IN VIAGGIO NEL TEMPO, probabilmente l'episodio che più immediatamente sale alla memoria è l'ultimo. Ma riassumere la trama di questo mitico telefilm - o ancor più del suo splendido epilogo - ruberebbe troppo tempo e spazio in questa sede, perciò per ora darò per scontata la sua conoscenza.

Ora: quello che mi sconvolge della conclusione della storia, a prescindere dalle suggestioni cristologiche varie, è proprio il passaggio dello status del protagonista da viaggiatore temporaneo ad apolide incorporeo. Fino ad un certo punto, i suoi salti e le sue missioni (sulle quali si potrebbe scrivere un blog a se, a partire dai paradossi causa-effetto fino agli inevitabili effetti farfalla concatenati) presupponevano un apolidismo momentaneo, forzato, immateriale. La non-piú-appartenenza al suo sistema originario era solo il frutto di un fattore esterno improvviso sebbene autoprovocato (un esperimento andato a male), il suo vero corpo fisico era in uno stand-by indeterminato, e la voglia di tornare a casa rappresentava l'incentivo e lo stimolo per andare avanti nella sua missione inconsapevole. Ma dopo l'"incontro decisivo" della puntata finale e l'agnizione che ne deriva, le premesse vengono irrevocabilmente smontate e la stessa prospettiva esistenziale e progettualità futura assumono contorni ancora più marcatamente metafisici. Il viaggio non avrà mai una destinazione finale, se non - questo è implicito - per il deperimento di un corpo fisico ormai estraneo ed irricongiungibile. Ed il precedente apolidismo temporaneo e subìto, plasmato da una rinnovata coscienza messianica, si trasforma in una consapevole missione senza ritorno. Drammatica nella sua schietta e reale inevitabilità, peraltro abilmente celata fin dall'inizio (e rivelata addirittura da una riuscitissima allegoria di un credibilissimo Creatore).
Qui sta il nodo di tutta la faccenda. Non siamo più dalle parti del giovane 'Ntoni, il primo grande "escluso" della letteratura italiana, che alla fine della vicenda narrata ne I Malavoglia non appartiene più nè alla città nè al suo paese natio. Qui si apre la porta ad una riflessione assai più angosciante: la prospettiva del non tornare e del non rimanere; di un apolidismo eterno, segreto, consapevolmente incomunicabile ed ora irreversibilmente incorporeo.

Ed io me lo immagino ancora lì, il buon Sam, a saltare da una vita all'altra, senza più l'aiuto e la spalla del buon Al, ignorando probabilmente COME si siano svolti i fatti passati alternativi che porteranno a completare - senza il suo amico - quello stesso progetto che lo metterà nella sua attuale prigione quantica, per di più sapendo che la sua futura continuità esistenziale sarà pressochè evanescente sotto quasi tutte le variabili spaziotemporali da lui stesso studiate e valutate sempre così attentamente.
E senza più nemmeno un pubblico per le successive e solitarie avventure, persino il suo amabile tormentone (nonchè titolo di questo post) sarà destinato a cadere nel vuoto, senza piú la spettacolare amplificazione del cliffhanger di fine episodio data dalla solita scritta "Executive producer Donald P. Bellisario".

Tutto questo riguarderà un altro pubblico, un'altra storia. Un'altra vita.
Quella precedente.
Sempre che abbia più senso parlarne.


lunedì 21 settembre 2009

Ironìa de la suerte

Nuova canzone degli Efecto Mariposa, NO PUEDO (Non Posso).
Stavolta, sin comentarios...




No, no me veo capaz de mirarte y decir lo que siento.
No hay razón ni motivos, no hay pretextos.
No, no me falta tú amor, no me falta nada en concreto,
Solo soy yo la que me busco y no me encuentro.
Como aquella canción que se olvida sin más,
Como parte de un cuadro incompleto.
Como actor secundario con triste final, como nada así me siento.
Y es que no puedo o es que no quiero,
Ya no sé si es peor continuar o partimos de cero.

Es que no puedo o es que no debo,
No sé ni por donde empezar si te digo te quiero me miento.
Es que no puedo...
Es sufrirte tan cerca, es hecharte de menos tan lejos,
Un porqué sin respuesta, es un quiero y no puedo.

Cuantas veces más debo callar?
Cuantas veces más tengo que huir?
Cuantas veces te pude contar? Pero nunca me atreví.

Como aquella canción que se olvida sin más,
Como parte de un cuadro incompleto.
Como actor secundario con triste final,
Como nada así me siento.
Y es que no puedo o es que no quiero,
Ya no sé si es peor continuar o partimos de cero.

Y es que no puedo o es que no debo,
No sé ni por donde empezar si te digo te quiero me miento.
Es que no puedo...
No puedo y es que no debo o no quiero.
Y es que no puedo y es que no quiero ya no sé
Si es peor continuar o partimos de cero.

Y es que no puedo o es que no debo,
No sé ni por donde empezar si te digo te quiero me miento.
Es que no puedo...


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No, non mi vedo capace di guardarti e dirti ció che sento,
Non c'è ragione nè motivo, non ci sono pretesti.
No, non mi manca il tuo amore, non mi manca nulla in concreto,
Sono solo io che mi cerco e non mi trovo.
Come quella canzone che si dimentica così,
come parte di un quadro incompleto,
Come un attore secondario dal triste finale,
come il nulla: così mi sento.
È che non posso o è che non voglio
non so più se è peggio continuare o partire da zero.

È che non posso o è che non devo,
non so nemmeno da dove iniziare: se ti dico "ti amo" mento a me stessa.
È che non posso...
È soffrirti così vicino, è sentire la tua mancanza così lontano,
Un perchè senza risposta, è un voglio e non posso.

Quante volte ancora devo tacere?
Quante volte ancora devo ascoltare?
Quante volte potevo dirtelo? Ma non ho mai avuto il coraggio.

Come quella canzone che si dimentica così,
come parte di un quadro incompleto,
Come un attore secondario dal triste finale,
come il nulla: così mi sento.
È che non posso o è che non voglio,
non so più se è peggio continuare o partire da zero.

È che non posso o è che non devo,
non so nemmeno da dove iniziare: se ti dico "ti amo" mento a me stessa.
È che non posso...
Non posso, ed è che non devo o non voglio.
È che non posso ed è che non voglio,
non so più se è peggio continuare o partire da zero.

È che non posso o è che non devo,
non so nemmeno da dove iniziare: se ti dico "ti amo" mento a me stessa.
È che non posso...

mercoledì 16 settembre 2009

Ma dì soltanto una parola...


Una delle ultime folgorazioni personali in ambito seriale mi è arrivata dall'iperpubblicizzato LIE TO ME.
Ad avermi incuriosito, prima ancora di conoscerne trama e casa di produzione, erano stati i giganteschi primi piani di Tim Roth che campeggiavano - e campeggiano tuttora - su enormi cartelli pubblicitari sparsi per Roma. Io ho sempre amato questo attore, e l'idea che anche lui avesse finalmente ceduto all'ottima moda della serie televisiva era ovvio facesse presagire un prodotto dalla qualità notevole. In effetti, LIE TO ME è un telefilm molto ben fatto: interessante, ottimamente recitato e dalla regia non banale. Di certo non si raggiungono le vette di realismo delle serie HBO, ma siamo senza dubbio dalle parti d Dr House e di altre pregevoli serie FOX.
La trama è molto semplice: il protagonista (Dr. Cal Lightman) è fondatore e capo di un'agenzia che collabora con polizia, FBI, enti o anche privati cittadini, per fornire consulenze sull'interpretazione di confessioni varie al fine di comprendere se gli interlocutori dicono la verità oppure no, se nascondono qualcosa, se dai loro racconti traspaiono sentimenti precisi che possano aiutare a comprenderne le motivazioni reali. Ovviamente la costruzione dell'episodio procede come un giallo, con continue agnizioni ed improvvisi ribaltamenti dell'indagine, in pieno stile poliziesco (o House). In genere in ogni puntata vengono affrontati parallelamente due casi, e non sempre è possibile definire uno dei due "minore". I personaggi secondari acquisiscono peso poco a poco ma, esattamente come accade nella serie dell'irascibile diagosta collega di network, non riescono a mio parere a stare al passo con l'eccentrica genialità interpretativa e carismatica del loro capo.
Una delle cose più belle della serie è che spesso, quando si illustrano e spiegano le intenzioni celate da determinati gesti, si mostrano delle immagini di personaggi famosi colti nella stessa espressione, in contesti dove evidentemente questi manifestavano (o nascondevano) quegli stessi sentimenti.
Ultimo appunto stilistico: i titoli di coda non sono niente male...

La seconda serie inizierà negli USA questo mese, non ho ancora scoperto quando. Ma a tutti i curiosi e gli scettici, consiglio di non perdere l'edizione italiana della prima serie attualmente in corso.
La voce che hanno scelto per il Dr Lightman è quella di un vero mostro di bravura e, anche se non è la voce ufficiale di Tim Roth, da al personaggio un'ottima caratterizzazione. E lo dice uno che ha visto la serie in originale coi sottotitoli tranne i primi due episodi...

La riflessione sulla quale volevo soffermarmi è però un'altra: il tremendo fascino esercitato dal tema principale di Lie to me, ovvero lo studio delle mircoespressioni per l'interpretazione della verità enunciativa, lo avevo già subito pochi anni fa proprio da un'altra serie targata FOX. Peraltro, da un episodio quasi "anomalo" rispetto allo stile generale della serie. Mi riferisco in particolare ad una puntata della II serie del mio amato Prison Break, in cui i fuggitivi diffondono un videomessaggio "depistante" perchè pieno di elementi gestuali contraddittori rispetto alle parole pronunciate. In realtà si tratta di una delle sequenze che più mi sono rimaste impresse dell'intera saga di Michael Scofield, cervellotica ed intrigante come poche altre. E mi sembra giusto postarla qui come chiave di questo post.
Nella mia mente, non smetterò mai di pensare che il gradimento di questa scena di Prison Break (e in generale dell'episodio ad essa relativa) abbia giocato da prova generale per il concept di Lie to me.
Si, so che sembra un ragionamento forzato, ma ogni nerd ha le sue piccole suggestioni.
E poi, sbirciando qua e la sul web, potrei sempre trovare qualche conferma a questa mia tesi. Solo che lì non avrò alcun indicatore gestuale, ahimè, su cui basarmi...



domenica 13 settembre 2009

Sopracciglia a confronto: DIABOLIK vs GOLGO 13



Non so se Cesare Lombroso, padre della criminologia moderna, avesse contemplato anche la forma delle sopracciglia nel delineare il profilo dei tipi fisici predisposti alla criminalità. Ma anche abbandonando qualunque suggestione fisiognomica, è impossibile non pensare che ci sia una connessione fortissima tra i due protagonisti a fumetti di cui parlerò in questo post, proprio a partire dal loro sguardo e dalla minacciosa forma delle loro rughe frontali.
Uno di essi è il nostrano e famosissimo Diabolik. L'altro personaggio lo si potrebbe in qualche modo considerare un suo fratellone giapponese, e sebbene da noi non abbiano mai pubblicato le sue avventure, la sua fama mondiale non è affatto trascurabile: sto parlando di GOLGO 13.
Per quanto riguarda la trama e la vita editoriale di questo longevo manga e delle sue trasposizioni televisive, rimando a questo e a questo post del buon Faust VIII. Qui mi limiterò a rilevare le differenze fra i due impassibili assassini.

Innanzitutto Golgo13 inizia la sua avventura editoriale nel 69, quando Diabolik già affollava le edicole italiane da sei anni.
A livello di stile e di trama bisogna dire che, nonostante le ingenuità stilistiche di entrambe le serie, Golgo 13 si rivela un'opera molto più matura e d'autore rispetto a Diabolik.
Il genere a cui si può ascrivere il suo fumetto è quello "yakuza" e, essendo il suo protagonista fortemente ispirato alla figura di 007, le sue tematiche sono infarcite di spionaggio, guerra fredda, esperimenti per il controllo del potere politico, creazione di superarmi belliche, giri di droga e prostituzione, eccetera.
A differenza di Diabolik, Golgo 13 non è un trasformista nè un ladro. E' un sicario prezzolato di primo livello sulla scena mondiale, ed è conosciuto dai governi e dall'intellingence di tutto il mondo. Inoltre, nonostante abbia dei rifornitori o dei professionisti di fiducia cui rivolgersi, Golgo agisce sempre da solo, senza quindi una partner fissa con cui venire perennemente a compromessi (come sempre più frequentemente accade al nostrano Re del Terrore, spesso costretto a prendere parte a crociate umanitarie o di principio solo per i capricci della sua bionda ed emotiva compagna).
Ancora: l'universo di Golgo 13 è costellato di riferimenti a paesi, date e personaggi reali. E nonostante il solito fumettistico paradosso dell'invecchiamento pressochè inesistente del protagonista, la definizione spaziale e temporale degli eventi conferisce alla narrazione una dimensione decisamente più realistica, coraggiosa e talvolta di denuncia politica e sociale molto forte. E permette tra l'altro una varietà tematica che il ristretto universo di Clerville, con le sue interminabili mostre, feste e corna raramente può permettersi di sfiorare.
Dal punto di vista narrativo, l'assenza di imbarazzanti spiegoni concentrati in affollati balloon di pensiero e didascalie rende quasi sempre le storie di Golgo 13 più criptiche e meno psicologicamente definite di quanto non accada in Diabolik, e questo è un bene sia per il fascino del taciturno protagonista -e dei suoi sempre interessanti clienti - che del taglio noir delle storie.
Anche i riferimenti adulti sono senza dubbio molto più "adulti" in Golgo 13, laddove gli omicidi e le scene di seduzione o sesso sono molto più esplicite e crude che in Diabolik. E sebbene nessuno dei due assassini sia solito uccidere senza motivo, e soprattutto persone innocenti, non si può non cogliere nella imperturbabilità di Duke Togo (vero nome di Golgo 13) una nota di crudezza maggiore che nel suo avo italiano.
Importante è anche il modo in cui è stato trattato il passato del protagonista nipponico rispetto a quello del nostro. Oltre al fatto che nelle storie di Golgo 13 il protagonista è spesso solo quasi una "comparsa" finale, che risolve professionalmente una lunga vicenda dove apparentemente lui non sembrava aver alcuna voce in capitolo fino a poche pagine dalla sua conclusione (cose che in Diabolik succedeva solo nelle primissime avventure), c'è anche da dire che l'autore è riuscito, nel corso di 40 anni, a rivelare ben poco di lui. In Italia invece, Diabolik sta vedendo da diversi anni una serie di episodi speciali (e non solo) che stanno sviscerando sempre di più il suo passato e le sue motivazioni - già esaustivamente frutto di rivelazione nel mitico albo Diabolik chi sei? del 1968 -, nonchè quelli dei suoi coprotagonisti. Operazione che, inutile persino dirlo, nonostante il fascino dell'agnizione momentanea, rischia però di ledere il fascino del protagonista e del suo universo, nonchè di passare irrimediabilmente di moda nel corso di qualche lustro.

Ci sarebbe ancora molto altro da dire, ma direi che per ora questo può bastare.
Mi preme aggiungere che i soli episodi da me letti finora sono quelli di una preziosa edizione spagnola dedicata a Golgo 13 ed intitolata Los mejores 13 episodios de Golgo 13, una raccolta antologica che unisce i 13 più bei racconti secondo l'opinione dei lettori. E' quindi facile pensare che il mio attuale entusiasmo per la scoperta di questo personaggio sia filtrata dalla selezione delle sue storie meglio riuscite, ma credo di poter valutare che la media del manga originale sia comunque molto prossima a quella delle pagine lette qui in Spagna.

Prima di concludere, volevo solo elencare alcune delle cose più fighe che ho visto (letto?) fare a questo nipponico killer dal biblico nome in codice:
- centrare in testa un dirottatore in un aereo a 2 KM di distanza dall'obiettivo (calcolando quindi vento, umidità, movimenti, e tutti i vari fattori che influiscono su un tragitto balistico così lungo);
- spezzare con un proiettile, dal loggione di un teatro, la corda di un violino in movimento durante un concerto (foto in basso, per avere un idea del contesto);
- sparare, all'età di TRE ANNI, alla madre malata terminale mentre il padre era andato a chiamare il dottore, e tra l'altro in piena fronte. E non è dato sapere al lettore se questo gesto fosse dettato dalla pietà per l'agonia della genitrice o dal sangue assassino che scorreva già nelle sue vene per colpa del suo DNA corrotto da avi spietati e pericolosi;

INFINE, ultimo ma non ultimo:

- fabbricare, fra la degenerazione fisica e la perdita di lucidità della galoppante malattia contratta, un miracoloso vaccino ad una pericolosa variante dell'ebola individuando da solo l'unica scimmia non infetta - e quindi con gli anticorpi - fra quelle che avevano diffuso il virus, prelevandone il sangue ed usando la ruota motrice della macchina, appositamente cappottata, come centrifuga di separatore ciclico per isolare il siero tramite un complesso ma spartano meccanismo improvvisato. Tutto questo, ovviamente, dopo fughe improbabili, omicidi di precisione ed innumerevoli altri stress.

Altro che Re del Terrore. Qui siamo dalle parti dell'inferno puro. Del resto, per ricordare nel suo nome il monte dove fu crocifisso Gesù (tralasciando la simbologia di quel nefasto numero), credo che l'autore avesse chiara la cifra della sua opera fin dall'inizio...



sabato 12 settembre 2009

Visioni

Potrebbe essere questo il prossimo film che vedrò al cinema qui in Spagna:



Il fatto che sia un film spagnolo - e che quindi i suoi dialoghi saranno più rapidi, meno chiari e pregni di espressioni colloquiali - potrebbe essere una sfida ancora prematura. Ma devo dire che questo trailer non mi dispiaciucchia.
E non sia mai che si dica in giro che io non accetto le sfide.

mercoledì 9 settembre 2009

Asse Tokio Roma Madrid,

o Dell'improbabilità degli accostamenti socioculturalgastronomici del nuovo millennio, si potrebbe azzardare.

La mia ultima comida rápida qui a Siviglia non è stata una nostalgica e patriottica pasta con olio/burro o riso in bianco; nè una sostanziosa ed economica tapa di carne sotto casa; nè una tazza di latte con cereali o biscotti, o due salvifiche fette di pancarrè con la nutella.
Carpendo la segnalazione del coinquilino nipponico, ho comprato un paio di pacchetti di un cibo che per tanti anni (da Maison Ikkoku in poi) hanno affollato il mio immaginario relativo al Sol Levante.

Ecco qui uno dei due. Quello rimasto.


L'altra busta era di una marca rigorosamente giapponese, ma l'ho cucinata e buttata ieri.
Prezzo cadauna: SESSANTA CENTESIMI.

E mentre mi gustavo e sudavo i miei bollenti ramen istantanei comprati dal cinese sotto casa, spiegavo alla mia nuova coinquilina austriaca, in inglese, cosa stessi mangiando (e perchè), mentre lei traduceva divertita al suo ragazzo in tedesco e lasciandosi scappare qualche entusiastico commento in spagnolo.

Dopo cena, ho terminato la lettura di un prezioso tomo in lingua spagnola con l'edizione nazionale di un famoso manga giapponese che in Italia non arriverà mai ma del quale molti esperti ed appassionati nostrani conoscono l'esistenza e rimangono in speranzosa e trepidante attesa (ne parlerò senza dubbio prossimamente, con un post comparativo sopraccigliare).

Giovedì sera il mio amico nipponico inviterà due sue connazionali per cucinare tempura e mangiarlo tutti insieme, e poi raggiungere i loro compagni di corso di spagnolo e tuffarsi nella scolastica lingua veicolare con alterni risultati.

Ah, dicevo, la mia cena veloce di ieri sera.
Ecco l'effetto finale.


La tazza blu sbeccata e la luce artificiale giallastra della cucina sul tavolo di legno renderebbero perfettamente l'idea della decadente quotidianità di uno studentello universitario squattrinato giapponese, no?
Beh, mancano le bacchette, quello si. Ma volendo, si potrebbero recuperare in un cuatro y cuatro ocho.

PS:
Volevo postare come immagine principale un montaggio con le bandiere dei tre paesi citati nel titolo, ma alla fine ho optato per omaggiare solo la quarta parola dello stesso. Una soluzione decisamente più semplice e pratica, che lì per lì mi era sembrata buona.
Solo che ora ho qualche ineffabile perplessità...

domenica 6 settembre 2009

FeedBack


- E allora: come stai?
- "Sto".
- Si, ma come va?
- "Va".
- Certo che _i molto... molto...
- "Laconico".
-
- ...
- Pronto? Ehi, mi senti?
- Si.
- Sono rimasto a "comico". E' possibile?
- Mah. Perchè no.
- E dai, però, non ti posso sentire così...
- E' il segnale. La wireless qui fa schifo.
- No, non parlo del campo, cretino. Non ti posso sentire con questa voce.
- Ah.
- Cerca di riprenderti!
- Al massimo mi faccio un paio di autoscatti, quando ho qualche monumento dietro di me.
-
- ...
- _ senti? Ooooo!!
- Si, ora si.
- Dicevo: devi rimetterti in carreggiata, ora.
- Ma io ci sto andando, in carreggiata. Sono uscito dalle lamiere contorte, giù nello sterrato, mi sono trascinato col busto verso il ciglio della strada, ignorando la presenza o assenza reale di sensibilità agli arti, e con una scia di sangue ho tracciato il mio percorso verso il centro della corsia nella speranza che qualche pazzo mi travolga. O che qualche miracolo mi soccorra, non so.
-
- ...
- 'ntooooo! Mi sentiiii?????
- SIIII, ORAAA SIIII!!!!
- Scusa, è veramente snervante parlare così. Dai, ci sentiamo più in la.
- E non sono sicuro nemmeno di avere le budella al loro posto.
- Eh, si, capisco come ti senti. Dai, veramente, ora chiudo, sennò rischio di perdere dei passaggi. Un abbraccio, e stammi su!
- Si, senz'altro. Ciao.