giovedì 26 febbraio 2009

Siccome immobile


Cordoglio per la prematura dipartita di Maria Antonietta Berlusconi, sorella del premier. "E' stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno: era ancora così in salute che avrebbe potuto portare a termine una gravidanza" ha ricordato il Cavaliere, prontamente avvertito però dal suo entourage della gaffe appena compiuta, dato che l'amata sorella scomparsa -com'era noto nell'ambiente politico- non era affatto in stato comatoso.

mercoledì 25 febbraio 2009

Amore antiorario


In una -forse goffa- battuta sta tutta la profondità del risvolto della storia che mi premeva davvero approfondire e al quale il film dedica praticamente una metà del suo tempo, seppure con uno stile registico e narrativo decisamente lontani dalle corde che avrei voluto.
E, in effetti, anche (e forse più) nella scena -per me molto intensa- in cui si chiude silenziosamente, drammaticamente e prevedibilmente, l'improbabile storia d'amore.

Per conservare un buon ricordo di questo non eccelso film -o perlomeno della parte più adulta e metaforica della vicenda narrata- mi piacerebbe in futuro ricordare almeno la battuta, ma un pò fuori contesto, slegandola dalla prolissa linea temporale degli eventi nonchè dalle musiche ridondanti e melense di cui questi sono stati farciti:


Daisy: "Mi amerai ancora quando la mia pella sarà piena di rughe e grinze?"
Benjamin: "Mi amerai ancora quando avrò l'acne?"

lunedì 23 febbraio 2009

La Dolce Attesa


Interessantissimi gli articoli di Internazionale della settimana scorsa sul conflitto istituzionale ed il confronto tra laici e cattolici riguardo l'ormai concluso caso Englaro.
Accattivante soprattutto il pezzo del tedesco Michael Braun, che suggerisce come Berlusconi e Ratzinger, pur essendo diversissimi, abbiano in comune la convinzione di essere al di sopra della legge.
Tuttavia, ciò che mi ha fatto maggiormente ribollire il sangue è stato scoprire che (almeno stando alla giornalista tedesca Birgit Schonau) il premier italiano, fra le varie risibili corbellerie pornografiche snocciolate assieme a vari colleghi durante lo svolgimento della vicenda, avrebbe anche commentato -parafrasando- che "forse la famiglia Englaro è stanca di occuparsi della figlia", e che "Eluana era così viva che avrebbe potuto portare a termine una gravidanza".

Premetto che io mi sono volutamente disinteressato del circo mediatico che c'è stato attorno a questa pietosa vicenda. E che, di conseguenza, ho registrato poche esternazioni sul caso, sia da una parte che dall'altra.
Ma se qualcosa di anche solo vagamente simile è stato davvero detto, da Berlusconi come da chicchessia, allora -come disse Vittorio Sermonti da Fazio, sebbene in un contesto più leggero- TRASECOLO.
Letteralmente.

giovedì 19 febbraio 2009

L'arte della critica (o la critica dell'arte?): due approcci



Mi pareva giusto cavalcare una suggestione personale decisamente estemporanea, e mostrare due video che esemplificano lo stile locutorio di due differenti critici d'arte nostrani di fronte alle telecamere (in entrambi i casi, della tv di stato).

Philippe Daverio:



Vittorio Sgarbi:



Lo so che forse nessuno guarderà per intero i due filmati, ma io ci terrei in particolar modo che vedeste interamente almeno il secondo.
Io non ne sapevo nulla, ma quando ho scoperto quello spezzone (solo ieri) sono rimasto allibito, e ho dovuto guardarlo altre due volte per capacitarmi.

Ora, passiamo alle perplessità.
Per fare i critici d'arte bisogna avere quantomeno una formazione umanistica, permeata di valori classici e di una certa cultura, immagino. Persino un profilo caratteriale probabilmente riconoscibile, mi verrebbe da azzardare.
E ovviamente sarebbe comprensibile se ci fosse solo una palese asimmetria formativa tra due individui.
Però mi chiedo: sono solo io a pensare che, in questo caso, siamo di fronte a due (ehm...) "grandezze non scalari"?

mercoledì 18 febbraio 2009

Uno e Trino


No, niente derive mistiche. Non ancora, perlomeno...
Si tratta di uno spassoso esperimento a tre mani, proposto dalla frizzante Giustina, che ha visto partorire un post tripartito a tema comune.
I protagonisti di questo simpatico divertissement sono stati i due amici di blog -scrittori e sceneggiatori- Giustina Porcelli e Alex Crippa ed il sottoscritto Giangidoe.
Questo è il link del blog di Giustina dove trovate il testo nella sua impostazione grafica originaria e corredato delle mitiche illustrazioni dell'autrice.
Qui di seguito, il testo del post, asciutto e privo di illustrazioni. Che rende meno, credetemi.



LA CAMICIA A TRE MANICHE


La prima mano è di Giustina:

Nick ha un segreto. Guida la Marone Industries e collabora con la Jacquie M occupandosi contemporaneamente di finanza, flotte, economia e moda. Gestisce gli svarioni di Bridget, la fidanzata con la quale convive. Partecipa attivamente alla vita di Brooke e a quella della ex moglie Taylor. Cura il figlio neonato. Accompagna Katie nel suo ultimo viaggio. Suona la chitarra e compone canzoni dedicate alle donne e al mare. Va in barca appena può, dal parrucchiere appena deve, e da Chuck appena ha sete. Fuma i sigari, mangia pistacchi e beve whisky. Il tutto in un giorno solo. Nick deve avere un segreto perché per riuscire ad amministrare una vita così ci vorrebbero perlomeno tre mani. Che sia proprio questo il trucco? Una terza mano retrattile che tira fuori all’occorrenza? Perché non possiamo avercela anche noi una mano in più da sguainare al momento opportuno? Una mano extra risolverebbe un sacco di problemi: casalinghe con tre swiffer e più tempo libero; impiegati che digitano tastiere e fanno digito pressione ai colleghi; meccanici che riparano il motore, cambiano le candele e fischiano le belle donne; lavavetri che puliscono il cruscotto, il parabrezza e ti maledicono perché gli dai solo monetine di rame; ladri che forzano due serrature in un’unica mossa; parlamentari armati di palmare, cellulare e Nintendo DS scaccia noia; amanti fantasiosi da santificare; centraliniste che si fanno le unghie delle mani e dei piedi e chissà cos’altro. La camicia a tre maniche non è un sogno irrealizzabile: basta chiedere una mano... e lasciarla libera.


La seconda mano è la MIA:

Ah, quanti scenari si dispiegano alla cronenberghiana idea di una terza mano. E tralasciando le applicazioni più squisitamente sessuali, che molto dipenderebbero anche dalla lunghezza dell’eventuale terzo braccio cui sarebbe attaccata la stessa, io non ho dubbi sulla funzione alla quale adibirei l’inedito arto nel mondo reale: il grattamento salvifico, periodico e capillare della propria schiena.
In Beautiful, del resto, esistono massaggi e idromassaggi, carezze e abbracci, persino revolverate e/o sporadiche rianimazioni cardiache; oltre che - ovviamente - tonnellate di sesso fuori campo, ben più che suggerite da affanni, sudori, rossori e riflessioni goliardiche del post-amplesso. Ma sebbene gli Audaci sceneggiatori concordino sul battiatano “bisogna pur che il corpo esuuuulti” (o sussulti), non sia mai che qualche Bellissimo personaggio chieda all’amico/amante/parente del momento di dargli una rilassante grattatina alla schiena. Immagino che questa nota di realismo intimista potrebbe nuocere alla coerenza patinata della soap…Ebbene, la funzione di riserva per una terza mano nel BeautiWorld ce l’ho: la chiusura delle porte. E magari, PERSINO delle serrature.
Voglio vedere, poi, come fanno ad andare avanti per altre 5.000 puntate senza le proverbiali agnizioni sull’uscio di casa Forrester.
Cattiveria, dite? Ma no: è solo il tipico sadismo da triplo pollice opponibile.


La terza mano è di Alex Crip:

Con una terza mano potrei tenere un ritmo samba sul piatto ride della mia batteria mentre con le altre due tengo un classico ritmo rock a 4/4 su charleston e rullante: etno-rock senza campionature né sovraincisioni, tutto suonato dal vivo!

Con una terza mano potrei finire il torneo di Mortal Kombat sulla mia Playstation3 in 5 minuti: 15 dita per gli 8 tasti e 2 levette del mio joystick farebbero tremare e poi soccombere qualunque mio avversario virtuale!

Con una terza mano potrei firmare doppi autografi. A patto che sia anch’essa una destra, se no sono fregato.

Con una terza mano potrei guidare e farmi la barba contemporaneamente. Con la mia Mercedes SLK a cambio automatico potrei anche tagliarmi i peli del naso nel frattempo. E con l’autista potrei addirittura regolarmi le sopracciglia! Se fossi donna, ovviamente.

Con una terza mano potrei davvero cambiare il mondo! Ben Harper dice che ne bastano due in “With my own two hands”… io triplico!


lunedì 16 febbraio 2009

L'Altro mondo

Bene. A questo punto è forse il caso di proporre un breve elenco di quelli che possono essere gli epiteti possibili per delineare presenze sconosciute e gruppi di persone non identificate all'interno dell'economia narrativa di una serie di successo, di un film o di un qualunque fenomeno mediatico dove entrano periodicamente nella storia nuovi comprimari dalle origini, dalle intenzioni -e perfino dalle epoche- differenti da quelle dei consolidati e originali protagonisti.
Ognuno immagini il contesto che preferisce.
Io LOSTo ancora valutando...

Ok, inizio io:
1) Gli ALTRI. Un classico, ormai. E anche molto comodo: nessuna connotazione particolare, se non il senso di estraneità al gruppo originario. Efficace e spaventoso, grazie anche al ricordo dell'omonimo film.
2) Gli ALTRI ALTRI. Definizione per un secondo livello di estraneità, decisamente sarcastica e vagamente metanarrativa. E se la può permettere solo il giullare della serie in questione. Tipo Sawyer/James, in Lost.
3) I NATIVI. Connotazione geografica, sociologica e -all'occorrenza- antropologica e motivazionale. E soprattutto, se si vuole approfondire la metafora, anche politica. Pericoloso ma suggestivo.
4) QUELLI LI', DAI, HAI CAPITO... Pagherei oro, se fosse un'etichetta ricorrente. In tutta la sua lunghezza, e con l'inflessione un pò imbarazzata che richiede la sua pronunciazione.
5) I PALMIPEDONI. Così qualcuno si assumerebbe l'immane responsabilità di dichiararne l'esistenza e la natura "altra", legittimando così quel famigerato divieto onirico che da decenni invita a non calpestarli.
4) Gli OSTILI. E qui, la valenza è abbastanza esplicita: aumenta il giudizio di valore a scapito del senso di estraneità. Ma soprattutto, crea una curiosità maggiore sul profilo motivazionale.
5) I DISOBBEDIENTI. Variante del precedente, particolarmente cara a certi ambiti intellettuali nostrani. Decisamente da scartare: puerile, poco efficace e vagamente mortificante. Persino se lo si usasse per Lost.
6) I POPEYE. Connotazione incerta e decisamente referenziale, è vero, ma perchè mai non sfruttare un così famoso Copyright appena scaduto?



venerdì 13 febbraio 2009

Ho un'idea! Aspetta... Ma dove...? Era qui, giuro!


Capita a molte persone di aver avuto qualche idea, durante l'infanzia o l'adolescenza, per eventuali storie future di film o romanzi (o persino di videogame), e di scoprire solo molto dopo che quella stessa idea risulta essere alla base di una imminente produzione mediatica, o addirittura di qualcosa che esiste già da tempo ma che non si conosceva.
Molte volte si tratta di un freudiano scherzo della memoria, per cui si elabora l'idea solo DOPO aver fruito di qualche stimolo che ha aiutato a produrla, per poi rimuovere la reale paternità dell'idea stessa e procedere ad una sua idealizzazione e -spesso- rielaborazione originale.
Altre volte, anche se diventa difficile capire quali, il furto (quand'anche retroattivo) è reale.
Ovviamente, la persona che vede la propria idea messa in opera da qualcun altro, tende sempre a considerarsi vittima della seconda fattispecie.
Ed io, che non faccio eccezione, ho avuto l'arrogante impressione che una mia idea infantile o adolescenziale fosse stata "rubata" in più di un'occasione, nel corso degli anni.

L'ultima volta è successo proprio con l'uscita del recente Il curioso caso di Benjamin Button.
Da ragazzo, ignorando il fatto che il tema della crescita inversa fosse stato già affrontato in più ambiti, mi era già bazzicata l'idea per una storia d'amore impossibile fra due persone che crescono in "direzione inversa". A mente fredda, credo sia successo DOPO (e non PRIMA, come mi sono sempre auto-convinto) la lettura del bel racconto di Francesco Piccolo, Il tempo imperfetto.
Tuttavia, io avevo immaginato un mondo dove la gente continuasse a crescere ed invecchiare perennemente, prima crescendo da giovani a vecchi e poi da vecchi a giovani e poi dinuovo, ancora, fino al sopraggiungere di qualche incidente o malattia mortale (o, ovviamente, un suicidio od omicidio).
In quel tipo di società, il dramma dell'innamoramento fra persone di "segno opposto" sarebbe insormontabile, perchè -a meno che qualcuno dei due ovviamente non muoia prima- si tratterebbe di un amore consumabile, per sempre, solo nell'età della reciproca coetaneità, ovvero quei 15, 20 anni ogni ciclo vitale.
E sarebbe, comunque, un rapporto socialmente proibito o fortemente sconveniente e stigmatizzato.
Ovviamente, quando ancora questa idea era fresca e dinamica in me, decine di particolari, di episodi e perfino di dialoghi si affastellavano nella mia mente a creare una vera e propria epopea. Poi, come sempre avviene con i beni poco utilizzati, tutto si è arrugginito e sgretolato col tempo.
Del resto, non si possono affittare sempre nuovi garage per conservare il giocattolone di turno...

giovedì 12 febbraio 2009

Il dolce - e un pò fatato - regno di Astria (Giappone file 6)


In Giappone, ci sono distributori automatici di qualunque cosa: quotidiani, libri, medicinali, uova e -ovviamente- vari tipi di snack e di bevande.
Per queste ultime, quasi sempre in lattina o in bottigliette, è prevista una sezione "calda" ed una "fredda".
Durante la mia permanenza nipponica, tutti i giorni io prendevo dalla macchinetta, per colazione, un tipico caffellatte nipponico della Georgia (il nome della famosa ditta che lo produce) o una cioccolata al latte della stessa ipercapillarmente presente azienda.
Ebbene: mi sono reso conto che molte bevande e cibarie che da noi sono proverbialmente zuccherate, nel Sol Levante sono assolutamente prive di qualunque sfumatura dolciastra.
All'inizio, questo mi ha un pò spiazzato. Cercavo di ripetermi che forse era la cosa più giusta, per un popolo, quella di abituarsi a cibi non zuccherati, nemmeno con dolcificanti alternativi. Ma, inutile dirlo, qualche volta rimpiangevo l'arbitrio autolesionista italico che mi avrebbe permesso di zuccherare il caffellatte della macchinetta, o il gusto stucchevole di gomme e caramelle rinfrescanti ufficialmente sugarfree ma poi decisamente candite.
In Giappone, lo sugarfree non esiste. C'è lo sugarless. Che è tutta un'altra cosa.

Ad ogni modo, una delle eccezioni più lampanti in questo amaro regime, è il gelato.
Il gelato giapponese è grasso, pannoso, granuloso e- soprattutto- dolcissimo. L'ho provato poche volte, a dire il vero, ma questa percezione mi è rimasta impressa come una curiosa anomalia.

La cosa più interessante, però, è la veste inspiegabilmente epica che a questo squisito dessert ho visto indossare oltreoceno.
Una volta, nella tradizionale cittadina di Kamakura, mi sono imbattuto in una gelateria che voleva richiamare, nella sua insegna, l'esotismo e la freschezza gustosa dei sapori italiani (vedi foto di apertura).
Curioso come pochi, ho dato una scorsa veloce alla mia regione per individuare qualche città conosciuta. E il mio stupore è stato immenso nel leggere la parte cerchiata della foto qui sotto:


Ora, per quanto la definizione dei caratteri di quell'insegna fosse volutamente evanescente, a me parve -e pare tuttora- di aver individuato la capitale della mia regione natia nella mitica e altisonante roccaforte di ASTRIA.
Immensa fu la mia gioia nello scoprire che ll banale ed ordinario scenario dove avevo coltivato la mia passione per le sognanti e magiche atmosfere dei fumetti e dei cartoni giapponesi, si fosse anch'esso rivelato per il fantastico mondo fantasy-presumibilmente-medievale che forse meritava di essere.
Sinceramente, per quelle che erano le mie suggestioni adolescenziali, credo che avrei preferito un più futuristico "Neo-Bary-3", o il più vagamente cyberpunk "Bary-Tech-Salem".
Ma direi che anche spadoni, cavalli e stregoni non sfigurerebbero, nel Tavoliere Incantato.

lunedì 9 febbraio 2009

La nave e il Commodoro


Da piccolo, sono stato uno di quei bambini decisamente videogame-dipendente. Oltre ad andare spesso in sala giochi a bruciare migliaia e migliaia di lire a settimana, ho avuto dapprima un Atari 2600 e, successivamente, un più serio Commodore 64.
In realtà, quando ricevetti il C64 nel natale del '90 ancora non sapevo che la grafica dei giochi per esso concepiti fossero lontani anni luce da quelle che avevo imparato ad amare nelle sale giochi, o da quelle più accattivanti delle semplici console più in voga all'epoca.
Con la scusa che il Commodore era soprattutto un "computer", mio padre me lo regalò in realtà per cimentarsi egli stesso nella programmazione in Basic. A me disse che quella scelta era stata operata per unire il divertimento "puro" dei videogiochi alla speranza che io potessi gradualmente cimentarmi nella programmazione.
In realtà, come prevedibile, i miei otto anni mi portarono ben lontano da qualsivoglia intento programmatorio, e mi spinsero invece in una sempre più avida accumulazione di giochi.
Non mi dilungherò in un discorso retorico e nostalgico sulle vecchie cassette del Commodore, sugli estenuanti tempi di caricamento, sulle ore spese davanti allo schermo a maturare nuovi tic nervosi.
Qui mi soffermerò qualche riga solo sul ricordo delle musiche.
In realtà, la mia cultura di videogame e di musica dei videogame è relativamente limitata. Quello che posso dire è che -col senno di poi- oggi mi rendo conto di come alcuni giochi, per quanto non particolarmente innovativi, giocabili o avvincenti, siano da me stati ossessivamente caricati ed avviati per la trascinante suggestione creata dalle loro musiche di sottofondo.
E le colonne sonore che si imprimevano più facilmente nella memoria e nel sistema nervoso erano indubbiamente quelle dei giochi a sfondo spaziale, per quella che è stata la mia esperienza personale.

Nello spazio che segue, senza dare alcuna descrizione dei giochi in questione, mi limito a postare il mio podio personale sul tema affrontato. Con file musicale, opportunamente recuperato, per ciascun gioco.
E' forse interessante notare che si tratta di giochi dello stesso, proficuo e fortunato, anno di produzione.

3) R-type (1987)

Ecco un remix del tema musicale.

2) Hades Nebula (1987)

Ecco un remix del tema musicale.

1) The Tube (1987)
Oltre a postare anche qui un remix del tema musicale, mi sembrava il caso di postare la copertina del gioco in un formato leggermente più grande delle precedenti:



E solo con questa immagine, così narrativa ed efficace, io vedrei aprirsi un ideale -ed utopico- saggio sull'analisi semiotica delle copertine dei vecchi arcade.
Mannaggia a me e ai miei sogni editoriali strampalati.

A proposito di sogni strampalati: qualcuno sa dove poter reperire le riproduzioni fedeli (e non remixate) dei temi musicali dei vecchi videogame? Siti, cd, qualunque cosa.
Sto attraversando una fase molto nostalgica.
Sarà effetto del fuso orario...

PS: post pubblicato contemporaneamente anche sulla Fortezza delle Scienze.

giovedì 5 febbraio 2009

No competence, No performance



A due giorni dalla partenza, posso essere abbastanza sicuro su cosa mi è mancato di più della mia lontana terra natia in questi quasi 30 giorni.
Non si tratta dei miei fumetti abituali, che so attendermi pazienti e impilati sul comodino. Nè delle mie serie preferite, che sono beffardamente ricominciate proprio questo mese.
Quella che mi è mancata di più è una cosa che probabilmente mi mancherebbe anche se andassi in qualunque altro paese straniero, persino fra quelli culturalmente più vicini.
Si tratta, semplicemente, della mia lingua.

E non mi riferisco tanto alla difficoltà o meno di farmi capire (o di capire gli altri) nella vita quotidiana. Parlo delle sfumature, dei giochi, dei vezzi, degli sperimentalismi, dei divertissement, degli stumenti comici o dialettici della propria lingua, che si imparano a conoscere, apprezzare, inventare -addirittura studiare- con gli anni, in un processo di assimilazione auspicabilmente irreversibile.
La sola idea di non potermi godere, altrove, l'equivalente di un Bergonzoni, o di Lillo e Greg, o del mitico Rat-man, oppure i virtuosismi narrativi o satirici di autori eclettici -anche non italiani- e di non avere la competenza adatta a rielaborare ed incamerare le cose migliori (e questo, verosimilmente, se non per il resto della vita, perlomeno per una porzione non trascurabile) mi farebbe morire.
Certo, dovunque andassi, probabilmente riuscirei a vedere (e senza sottotitoli, a capire solo per metà) il sempre meno criptico Lost. Ma quello, si dice, finirà l'anno prossimo.
Sempre che ci si possa fidare dei tempi di gente che ora temporeggia coi viaggi nel tempo, quando un tempo la sola idea (dei viaggi nel tempo) poteva apparire attempata.

Ecco. Era esattamente di questo che volevo parlare.



lunedì 2 febbraio 2009

Chi non ama la quarta, come potrà amare la quinta?


Nonostante il divertito ammiccamento del titolo, la foto dovrebbe rivelare il vero oggetto del lecito dubbio espresso.
No, non le pacate forme della mia amatissima Sun (oh, se la amo). Ma la brutta situazione in cui lei e i suoi compagni di sventura si sono "imbarcati".

Inutile negarlo. LOST è come una droga, in tutto e per tutto. Se all'inizio ti da un piacere immenso e ti fa stare bene, più in là ti trovi a guardarlo anche contro ogni impulso razionale. Contro ogni neurone che ti urla le falle di sceneggiatura e le facili furbate stilistiche. Contro ogni recensione negativa che gente più lucida -e disintossicata- ha giustamente partorito.
Contro.
Ma il problema è che, come con la droga (parlo sempre per retorica dell'argomento e non per esperienza, sia chiaro), i contro sono controbilanciati -oserei dire catapultati- da un unico, immenso e fisiologico pro:
l'astinenza.
E l'astinenza, per LOST, è sempre inestinguibile.
In questo frangente, poi, col fatto di non poterlo vedere quasi in contemporanea, è ancora maggiore.
E come se non bastasse, il recente post di tuiti ha gettato ulteriore benzina sul fuoco.
Inoltre, se posso ammetterlo, a parte qualche momento fiacco nella scorsa stagione, ogni puntata continua a tenermi sulle spine e ad incuriosirmi come pochi altri serial riescono a fare.
Quando sono in "astinenza" da Lost, tuttora mi basta riguardare l'inizio della puntata 2x01 o della 3x01 per ricaricare il mio entusiasmo di fan.

Ah, giusto. I video.

L'inizio della seconda stagione:




L'inizio della terza:



Certo: per chi non lo ha mai (o quasi seguito), sono incipit come altri.
Anche se non ne sono neanche troppo convinto...