sabato 10 maggio 2014

Auguri 2.0



Che poi uno dice ma è normale, le mamme sono così, devono vantare i figli davanti agli altri, è nella loro natura. E tu lì a spiegare che ti dà fastidio, che non è vero che sei così bravo, che sta esagerando come al solito, che poi rischi di farti odiare. Ma lì per lì non ti rendi davvero conto del perché. E' solo quando sei grande che lo capisci appieno.
Le mamme passano anni ad alimentare aspettative enormi su di te quando sei piccolo, sia all’interno che (soprattutto) al di fuori della famiglia. Ma poi arriva il momento di mantenere le promesse. Che tanto, essere bravi a scuola non è poi una gran cosa. È su quello che farai dopo, che tutti hanno gli occhi puntati.

Così, tutt'a un tratto, si crepa lo specchio.
Il silenzio si espande. L'elefante cresce in una stanza minuscola.
Tutti i tuoi amici - non solo i più brillanti, ma tutti - sono a uno o più passi avanti a te.
Le loro mamme magari non li decantavano come la tua. Forse non ne avevano proprio motivo. O erano solo più distratte. O magari molto preoccupate. Eppure, adesso, guardano i loro figli e le loro figlie con orgoglio, ripetendosi che non avevano dubbi. Magari qualche riserva si, ma dubbi mai. E beati loro. I figli. Che da quell'orgoglio si rafforzano e si riscaldano.

Visto? Te lo dicevo io, che non era il caso. Mai fare promesse che non puoi mantenere. Come quella che sarei diventato importante. O che avresti organizzato per filo e per segno il mio matrimonio. O che saresti piombata nella mia futura casa senza invito ogni volta che volevi perché ci sarebbe stata una stanza degli ospiti solo per te. O che mi avresti dato sempre del filo da torcere viziando e ingrassando i miei bambini e litigando con l'altra nonna per monopolizzare il tempo da passare con loro.

Eppure, non è soltanto questo, ad avvilirmi.

Quando mi chiedono se penso a te, se qualche volta ti sogno, rispondo sempre nel modo più rassicurante. Credono di essermi vicini e non mi piace l’idea di mortificarli. Non dico mai loro la verità. Che cerco di non pensarti. Che spero di non sognarti. Perché quando succede, non riemerge mai quello che vorrei. Nel suo viaggio a ritroso, la mia mente si ferma sempre prima, troppo prima. Rivede solo un corpo bianchiccio e martoriato, una testa glabra con una benda sull’occhio e tanti movimenti affaticati. Riascolta pianti scarichi, urla senza fiato, rumori meccanici di aspiratori. Si arena in quelle zone scure in cui ti ha voluto abbandonare per salvarsi. Mi piacerebbe poter rievocare anche i momenti belli del passato. Ricordare le risate, il cibo, le liti: le cazzate salvifiche alle quali si aggrappano gli altri. E invece mi spettano solo le immagini strazianti degli ultimi giorni. Quella volta a tavola in cui, sempre meno cosciente, ti sei guardata intorno cercando chissà quale oggetto e hai detto: “Mi dovete uccidere”. Quella volta in cui la tua malattia mi ha urlato contro una rabbia ultraterrena ed ingiustificabile mentre mi pettinavo in bagno. E, soprattutto, la volta in cui qualcuno, in quella fottuta stanza, mi ha scosso il braccio, sei secondi dopo il tuo ultimo respiro, perché mi ero assopito sulla sedia accanto al letto e ora bisognava uscire a chiamare il dottore. Ero rimasto vigile fino a pochissimi minuti prima, cercando di leggere il mio fumetto come se nulla fosse per impegnare i pensieri. Proprio io che rimango sempre seduto oltre i titoli di coda, con te mi sono addormentato sul finale. Ironico, eh?

Comunque devo dirlo: su alcune previsioni ti sbagliavi, o ti sbaglierai. Su altre, ahimè, non ti avevo creduto. Un po' mi solleva che tu non abbia fatto in tempo a scoprire su cosa hai avuto ragione: sarebbe stato più penoso vedere il tuo dolore che immaginarlo solamente. 
Ma ciò che mi rattrista davvero è che tu non sia riuscita a conoscere lei
E tanto.


Ad ogni modo, per quello che posso, ti faccio i miei auguri.
Per la prima volta, da quando non ci sei.
E ti confesserò una cosa che non ho ancora detto a nessuno.

Nonostante tutto, mi manchi.

In un modo che non ho ancora imparato del tutto a realizzare. Un modo che, per omaggiare il tormentone di cui mi sono appropriato da quella maledetta notte, non posso che definire “tutto sbagliato”.

E: sì, lo so che non si fanno, gli auguri in anticipo. Ma non lamentarti.
Domani, magari, non ne avrei avuto la forza.


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