venerdì 30 gennaio 2009

CroceVia (Giappone file 5)


In queste settimane mi è capitato di notare che la croce è un simbolo ricorrente anche qui nel Sol Levante.
Certamente la connotazione di questa presenza non ha nulla a che fare col Cristinanesimo, sebbene anche gli oggetti sacri qui presenti in qualche modo non siano del tutto estranei a simboli cruciformi (vedi foto).
Però è curioso notare come molti momenti della vita quotidiana qui contemplino l'icona in questione:
1) Al ristorante, per chiedere il conto si segnala al cameriere la fine del pranzo incrociando le dita.
In realtà, questa è una cosa che ho solo letto sulla guida Lonely Planet. Ma siccome non mangio al ristorante, qui, non l'ho ancora vista di persona.
2) In qualunque negozio si vada, se i commessi non hanno quello che cerchi si scusano sentitamente e incrociano le braccia all'altezza dei polsi.
3) In generale, per le segnalazioni visivamente più forti ed immediate, è molto comune mimare la croce con le braccia per dire "vietato", o "non si può".
4) In tutti gli esercizi dove bisogna riempire gli spazi vuoti con le particelle, laddove non servirebbe nulla -e quindi andrebbe lasciato lo spazio bianco- in Giappone (e negli esercizi di giapponese in tutto il mondo) bisogna inserire una croce. Se non lo si fa, viene considerato un omissione e quindi un errore.

E sicuramente c'è dell'altro, che adesso non ricordo -o non so ancora-.

Ma la cosa interessante è il motivo per cui la mia attenzione si è -parzialmente- concentrata su questa curiosa ricorrenza. E sarebbe la seguente:
da quello che ho notato fin da subito, statisticamente parlando, il 90% delle ragazze nipponiche ha le gambe storte.
In alcuni casi, la percezione di questa caratteristica è relativamente lieve. In altri, sembra proprio di vedere camminare delle croci col busto.
E l'effetto che queste gambe convergenti creano deambulando perennemente con stivali altissimi è anche vagamente curioso, quando non ipnotico.
La vera domanda a questo punto è: ma l'icona è stata riabilitata DOPO lo sviluppo di questa peculiarità fisica femminile, o è tutto solo frutto dell'ironico influsso di divinità
incrociate?

PS
Nuovo mio post sulla Fortezza. Che in parte integra questa esperienza nipponica...

martedì 27 gennaio 2009

Una tavola storica


Sto parlando dell'ultimo episodio del Braccino nazionale, pubblicato di recente sul blog del buon Emanuele Tenderini.
E non perchè la storia sia particolarmente bella, ma semplicemente perchè si tratta del PRIMO (unico?) FUMETTO SCENEGGIATO DAL SOTTOSCRITTO.
Beh, in realtà non è proprio proprio così.
Tempo fa proposi a Manu l'idea per un episodio -spiegando in poche frasi la scenetta che avevo in mente- e lui si rivelò ben propenso ad usarla per una storia futura. Pertanto, di mio c'è poco più che un abbozzo di sceneggiatura: l'essere accreditato tra i testi è forse più un atto di generosità che una verità, ed proprio in quel "powered by Tenderini" che sta la forza del risultato finale.
Ad ogni modo, ringrazio Manu per aver infine realizzato davvero questo episodio. E per avermi così procurato un immenso piacere anche a miglia e miglia di distanza dal Paese del nostro beniamino birettale.

Lunga vita e prosperità. Giusto per rimanere in tema.


PS per i non trekkiani: il computer che materializza i programmi richiesti dai membri della flotta stellare è il "ponte ologrammi", nel quale chiunque può concedersi un pò di ricreazione come meglio crede e godersi fantasie recondite, da quelle più baudeleriane a quelle più semplici e rilassanti dell'universo.
Regola che ovviamente non vale per BdC...

giovedì 22 gennaio 2009

Psico(e)log(i)o


Dopo aver finito di guardare la prima serie di IN TREATMENT, oltre ad aver imparato molto sulla qualità seriale, sulla recitazione, sulla essenzialità e sulla psicologia, ho avuto modo di riflettere un po’ su come sarebbe fastidioso avere un professore psicologo.

Ogni tanto mi figuro un dialogo del genere:

“Professore, non ho capito bene questo passaggio”.

“Uhm. Tu cosa credi che voglia dire, Kevin?”

“Mi chiamo Giangidoe. Ehm, non saprei: le sto dicendo che non l’ho capito…”

“Vorrei che ci riflettessi meglio qui con noi in classe, perfavore. Fai un piccolo sforzo”

“Ma se io lo sto chiedendo A LEI, vuol dire che ci ho già provato da solo e non ci sono riuscito!”

“Tu credi? Io dico che la risposta la sai, ma qualcosa ti impedisce di rendercene partecipe.”

“Eh?”

“Io credo che questa domanda, stamattina, sia un modo per mettermi alla prova. Un modo per capire se puoi fidarti di me per i prossimi tre anni di questo liceo. Per valutare se la tua istruzione superiore nelle materie umanistiche potrà essere all’altezza delle aspettative sociali e familiari che il tuo rango di appartenenza ti ha trasmesso”.

“Ma io…”

“Ma sono convinto che tu possa andare ben oltre questi dettami, e che hai fatto molti progressi nelle ultime settimane.”

“…”

“Però adesso ti chiedo di accettare alcune regole.”

“Anche l’Enigmista dice spesso qualcosa del genere.”

“Come hai detto, scusa?”

“Niente, niente.”

“Allora: da oggi in poi, se vogliamo continuare, tu -e così tutti voi- dovete fidarvi di me, così come io mi fiderò di voi. Niente più esami, niente più test, niente più sfide.”

“Wow! Quindi niente interrogazioni e compiti in classe?”

“Questa la considero come un’altra sfida, Jack.”

“Ehm, Gia…GGGiecck va più che bene, in fondo…”

martedì 20 gennaio 2009

Senso pratico (Giappone file 3)

Sintetizzato, peraltro, da due foto.

La prima, scattata allo zoo di Ueno.

Che poi, giusto per infierire, nel cassonetto "combustible" ci ho sempre visto quasi solo carta.

La seconda, scattata a Kyoto.


Che già di per sè questo servizio ha un nome inquietante. Ma poi quel cognome lì, così "italiano" (come direbbe il buon Stanis LaRochelle), arricchisce il quadro di una nota ancor più grottesca.

mercoledì 14 gennaio 2009

Relativismo riLevante (Giappone file 2)


Alcune differenze riLevanti (per l'appunto) riLevate finora.

1) I Giapponesi non si soffiano mai il naso -o almeno non in pubblico- e non si puliscono mai col tovagliolo mentre mangiano. E’ tuttavia loro abitudine e tradizione succhiare rumorosamente il cibo e soprattutto le pietanze brodose (che occupano una percentuale notevole della loro cucina), nonché ruttare con nonchalance a tavola.
Ora: a parte quest’ultima, che potrebbe curiosamente essere solo una caratteristica precipua della mia famiglia ospitante e dei loro amici (che hanno ruttato tranquillamente in un ristorante, ma senza alcuna nota di benchè minimo compiacimento goliardico), le altre cose sono state riscontrate in più contesti diversi di Tokyo e dintorni.
2) I Giapponesi sono gentilissimi nel darti indicazioni quando gliele chiedi, e se sanno dov’è il luogo che stai cercando sono capaci anche di fare un bel pezzo di strada per mostrartelo meglio. Ma se devono semplicemente interpretare un LORO indirizzo, si affaccia la triste verità che essi stessi non hanno la minima idea di come fare.
3) I Giapponesi sono contentissimi se una persona visibilmente caucasica gli chiede indicazioni in giapponese. Così contenti che talvolta, per mostrare empatia o gratidudine, gli rispondono in inglese (anche se il caucasico in questione continuasse imperterrito a parlare in giapponese), smorzando così qualunque iniziale significato ed entusiasmo di quella stessa empatia.
4) I Giapponesi non prendono MAI i volantini e gli oggetti omaggio distribuiti gratuitamente per strada a fini promozionali. Non per mancanza di rispetto verso i poveri volantinatori (che il rispetto in Giappone abbonda), ma perché semplicemente non ci sono praticamente quasi mai cassonetti dell’immondizia o anche semplici cestini della spazzatura.
5) In alcuni ristoranti c’è un distributore automatico (ovviamente corredato di foto e prezzi) dove scegliere la pietanza e pagarla in cambio di un talloncino da portare poi al banco per ritirarla calda calda. In tal modo, oltre a non essere mai in contatto coi soldi, i ristoratori non sono stressati da domande sui cibi e sui prezzi. Senza rinunciare al contatto umano, per di più.
6) I Giapponesi prendono impronte digitali e foto all’aroporto prima che tu possa riprendere il tuo bagaglio, e dopo te lo fanno aprire e ti fanno i raggi X al panettone (no, non "al gusto" di panettone).
7) In Giappone ho visto solo due barboni finora. Il che vuol dire che per lo più tutti sono sicuramente felici ed economicamente sussistenti. E non ho visto immigrati malconci: solo businessmen e distinte signore. Questo vuol dire che in Giappone non esistono Paesi stranieri dai quali la gente scappa disperata da una dittatura o da una guerra in cambio di qualunque alternativa possibile.
8) [o 4 REPRISE] I Giapponesi apprezzano molto chi parla la loro lingua, perché si dimostra uno straniero rispettoso e rispettabile. Questo vuol dire, oltre a ciò che si è detto al punto 7), che in Giappone non esistono immigrati che non gliene frega niente del giapponese e che mica sono lì per studio o per trasferimento aziendale bensì per sfuggire a qualche guerra o dittatura.

Yokatta ne!
(traduzione: Meno male, neh!)

sabato 10 gennaio 2009

Elogio del sottovuoto (Giappone file 1)


Ometterò, in questa sede, il taglio da diario di viaggio con soli aneddoti, foto e curiosità. Ci saranno un po’ tutte queste cose, certo, ma decisamente prenderò come al solito spunto da qualcosa per poi costruire qualche consueto delirio.
E prima che qualcuno se lo chieda: la foto l'ho scattata io stesso in uno dei tanti negozi otaku di Akihabara.
Si, so che nessuno se lo era chiesto.

La cosa che mi ha più colpito in questi primi due giorni in Giappone, oltre al fatto che –ad una veloce statistica visiva- circa 1/10 della popolazione indossa la mascherina bianca antismog (anche mentre lavora)- è decisamente il diverso approccio verso la soppressata umana da mezzo pubblico.
Agli snodi principali di treni e metro, i giapponesi diventano un flusso ordinato, compatto ed impetuoso. Lo schiacciamento disumano acquisisce una dignità quasi letteraria.
A Roma, a qualunque ora e su qualunque linea, c’è sempre una dozzina di persone che si lamenta, che “guardi dove metti i piedi”, che “cosa spingi, cretina?”, che “prima bisogna far scendere gli altri, ignorante!”, che “scusi si può fare più avanti così ci stiamo tutti grazie”, che “dieci anni fa la situazione non era così brutta, ora non c’è più controllo”, ecceterissima.
A Tokyo, nulla di lontanamente simile. La sardinizzazione c’è anche qui, e forse anche maggiore. Però ti guardi attorno e ti accorgi che nessuno emette un gemito, che non volano santi e madonne, che non si percepiscono smorfie o espressioni di timido disappunto, che non parte nessuna benchè minima discussione. Ma soprattutto, che nessuno incolpa nessuno.
Lo schiacciamento non viene percepito a livello conscio. E’ una sorta di entità che forgia ordinatamente la popolazione itinerante, silenziosa ed umile come fosse anch’essa in coda nella calca.
Ed è lì che cambia la prospettiva. E quando addirittura il ragazzino vestito da Naruto o la ragazzina infreddolita con la divisa alla marinaretta ti chiedono scusa perché, per effetto del flusso umano che sfocia ad ogni fermata –e che è del tutto fuori dal controllo della natura-, si trova ad urtare accidentalmente il tuo braccio (o a compiere qualunque azione sintetizzabile come “colpo”) invece di fare spallucce o ignorarti del tutto si scusa quasi sentitamente, beh, cominci ad avere un po’ paura.
La pressione maldestra e violenta da ogni lato, che fino a qualche secondo prima ti aveva quasi fatto gemere, viene ricordata solo come un’educata ottimizzazione degli spazi. Talmente educata da farti sentire quasi in colpa per la tua romanità acquisita.
Se continua così, probabilmente non reggerò a lungo. Mi troveranno in un angolo di Shinjuku, sporco e dimagrito, magari ubriaco e folle, a ripetere ossessivamente "Mavvammorìammazzatolimortaaaaaaaccitua!!!!”

Bene, e adesso scrivo un altro rigo senza un fine comunicativo preciso. Giusto perché mi pareva brutto terminare il post con “mavvammorìammazzatolimortaaaaaaaccitua”.

martedì 6 gennaio 2009

Prossima fermata: Narita


Dopo i turbolenti preparativi post-vacanzieri, finalmente è arrivato il gran giorno: domani realizzerò il mio ultradecennale sogno di andare in Giappone.
Al momento attuale non so ancora quando toccherò il suolo dell'aeroporto di Narita perchè ho appena scoperto -per puro CASO- che il volo che avevo prenotato settimane fa è stato cancellato a sorpresa, e la "serissima" AIR FRANCE (che meriterebbe un post a parte) si è ben guardata di avvisarmi via mail, cellulare o sms. Cosa che avrebbe potuto -e DOVUTO- fare tranquillamente, visto che ha i dati relativi a tutti i miei recapiti.

Detto questo,
non so se potrò postare con la stessa mia solita frequenza, nè se potrò visitare e commentare su altri blog.
E non credo che trasformerò il taglio attuale del blog in quello di un classico diario di viaggio, anche se ammetto che sarà certamente più facile cogliere suggestioni e riflessioni contingenti quando sarò nel Paese del Sol Levante.
Per ora, spero soltanto di riuscire ad arrivare.

Sayonara!