lunedì 30 giugno 2008

G-A-I-M-A-N. G come Genio (A come Atrocità, I come Ira di Dio...)


La figurazione allegorica dell’Ordine e del Caos per Neil Gaiman.

La tavola viene da un numero di SANDMAN.
La saga in questione è La stagione delle nebbie, in cui Lucifero in persona rinuncia al suo trono all’inferno e consegna le chiavi del proprio regno a Morfeo (protagonista della serie) scatenando le mire e le richieste di numerose divinità ed entità metafisiche che cercheranno di arruffianarsi il signore dei sogni per entrare in possesso di cotanta eredità.
I dialoghi di questa pagina, quindi, riguardano le riflessioni sul da farsi per agire al meglio in questa delicata circostanza diplomatica.

Ma ovviamente, la vera frase chiave di questo post è solo la prima.
Il resto è solo per i più curiosi…

domenica 29 giugno 2008

Verso l'infinito e...


Tutti hanno un proprio album musicale estivo. Non mi riferisco all’album (o all’assemblaggio di canzoni passeggere) che si ascolta di più durante l’estate di ogni singolo anno, ma un album della propria classifica personale che si associa mentalmente al –e che si ascolta soprattutto- l’estate.
Il mio album estivo, o per la precisione, l’album che –quando le vacanze estive me lo permettono- amo ascoltare sotto un cielo stellato è FELONA E SORONA, de LE ORME.
Si tratta di un tipico concept album che narra una suggestiva saga cosmo-epica: la storia di due pianeti (quelli del titolo), uno rigoglioso e illuminato dal sole e l’altro freddo e tetro, che vivono agli antipodi di un sistema solare in attesa un giorno di incontrarsi affinché la gioia e il calore del primo si trasfonda al secondo; ma il finale è più drammatico e meno scontato di quello che ci si aspetterebbe.
L’album è del 1973, e il gruppo in questione è la pietra miliare del progressive italiano. La musica riesce a rendere l’inquietudine e la dolcezza dei capitoli di questa novella space-fantasy, e il falsetto di Aldo Tagliapietra (all’inizio forse un po’ spiazzante) non mi ha mai dato meno fastidio come in questo lavoro.
Lo so, il mio è un giudizio fortemente affettivo e difficilmente condivisibile, tantomeno per ciò che riguarda la presunta ”estività” dell’album. Ma ascoltare pezzi come La solitudine di chi protegge il mondo e Ritorno al nulla guardando (magari da soli) un cielo nero stellato ed avere l’impressione che Cassiopea stia per caderti addosso o che la stella polare sia sparita può essere un’esperienza molto suggestiva.
Il professor Fontecedro direbbe “cosmica”.

sabato 28 giugno 2008

Eva contro Eva


Come potrei essere ammaliato e sedotto da questo patinato bocconcino sexy quando in questi ultimi 4 anni “disperati” l’ho:
- sentita cinguettare e fare risatine sguaiate con la voce di Bart Simpson (mitica Ilaria Stagni);
- vista impelagarsi in situazioni così grottesche e cimentarsi in trappole talmente elaborate da provare un misto di rabbia, tenerezza e simpatia estreme;
- guardata mentre, tra le lacrime, veniva aiutata a liberare in aria un simbolico palloncino per esorcizzare il ricordo della perdita del suo bambino a poche settimane dal parto;
?

giovedì 26 giugno 2008

Batiza vive


Di MANI NUDE avevo già parlato quando ancora non l’avevo letto. Ora che l’ho terminato posso confermare l’aggettivo che avevo usato in quell’occasione: disturbante. Splendido, variegato, ma decisamente disturbante.
Dire che il background delle lotte clandestine sia solo un pretesto per una storia che parla di tutt’altro non sarebbe del tutto sbagliato, e nemmeno dire che si tratti della storia di un riscatto personale. Ma in realtà e anche qualcosa di decisamente diverso, che nel corso delle circa 420 pagine si trasforma e cambia –apparentemente- chiave fino all’ultima frase del romanzo.
Per contribuire alla causa di Paola Barbato (un suo autoritratto in foto) e sottrarre questo bellissimo romanzo ad un destino di inspiegabile silenzio di pubblico e di stampa, ho scritto una sottospecie di recensione sul sito apposito, dove tra l’altro hanno scritto le loro recensioni anche scrittori e giornalisti.

Un momento...

Io che ci faccio, lì??? :-S

PS: Batiza è il nome del protagonista. E il titolo allude alla speranza dell'autrice -già esternata sul suo blog- di far si che questo romanzo non "muoia" così, senza motivo. E in effetti, come darle torto.

Io no. (in risposta al post precedente...)


Cominciamo da COME UN CANE.
Posso dire, con un pizzico di vergogna, che prima d’ora non avevo mai comprato una graphic novel italiana. Le poche volte che mi sono concesso dei volumi un po’ più “corposi” è sempre stato per fumetti giapponesi e americani.
Sono contento di aver superato tale inspiegabile ritrosia proprio con quest’opera.
La storia è quella di Paulinho, un ragazzo delle favelas brasiliane –realtà disastrata, amicizie sulle spine e persino un handicap fisico- il quale grazie ad un mentore carismatico e severo capisce che può (provare a) riscattare la propria squallida vita diventando combattente di una forma estrema di lotta –il vale tudo- per (sperare di) diventarne un campione.
Le suggestioni più evidenti possono essere senz’altro quelle di film come Girlfight, Million dollar baby, persino Karate Kid o Il ragazzo dal kimono d’oro; mentre per il contesto sociale delle favelas –che riecheggia alla fine la miseria di tutte le periferie suburbane del mondo- i riferimenti più evidenti sono quelli di City of god, mentre sul lato più “pop” la mente mi ha riportato a 8 Mile. Tuttavia, al di là di elementi o strutture simili che caratterizzano le storie di riscatto personale, COME UN CANE riesce a calibrare personaggi ben caratterizzati (ovviamente, il maestro e l’allievo in primis) con uno spaccato sociale crudo e realistico dove, oltre ad episodi e realtà di violenza e sfiducia estreme ci si può trovare ad assistere anche a scene di affetto e di umanità (senza virgolette) imprevedibili, come la commozione per la morte di un cane o un rude ma sincero istinto paterno.
Il respiro di una graphic novel è in genere ampio, e le 130 pagine –tra l’altro ottimamente disegnate da un espressivo e ispirato Ponticelli- vedono uno sviluppo della trama armonico e a mio parere privo di forzature o frettolosità; tuttavia, per l’intensità della storia e la forza dei suoi personaggi, non mi sarebbe dispiaciuto leggere un tomo spesso il doppio (o due tomi dello stesso peso).
Ma del resto questa storia va inglobata d’un fiato, one-shot (etichetta editoriale da superalcolico qui più che mai opportuna), perchè narra di scelte e svolte improvvise, e –soprattutto- di un uomo solo. Circondato da altre anime ma intimamente, psicologicamente, ineluttabilmente solo.
E il titolo, assieme alle sue varie altre interpretazioni, ne è la conferma.

mercoledì 25 giugno 2008

Chi mena per primo?


Non ho mai troppo amato la retorica del combattimento. Dai fumetti al cinema -passando per la narrativa- raramente sono stato affascinato da opere incentrate sulla lotta fisica. Sono uno dei pochi ragazzi della mia età che da piccolo non ha avuto il culto di Ken Shiro, dei Cavalieri dello Zodiaco o di Dragon Ball, e forse l’unico che non ha trovato Fight club uno dei più bei film della sua vita (o una bibbia post-moderna, in riferimento al libro) e che non ha mai giocato ad Halo o a Call of Duty.
Da due o tre anni, tuttavia, qualcosa è leggermente cambiato. Sarà stata la lettura di CRYING FREEMAN -lo splendido manga di Ikegami che fa dell’estetica dello scontro una colonna portante-, sarà stata la visione inaspettatamente malinconica dell’ultimo ROCKY, oppure la curiosità nostalgica che mi ha portato a leggere il nuovo manga del –ritrovato- mitico Ken, ma qualcosa infine è cambiato.
Credo però che l’evento determinante sia stato VIOLENCE FIGHT (nella foto). Si tratta di un vecchio videogioco sulle lotte di strada clandestine che da piccolo mi aveva drogato e che di recente –grazie ad un emulatore- ho potuto finire pazientemente dopo decine di tentativi. Quando uscì la schermata finale, non potevo credere al testo dell’epilogo. Diceva:
“Hai vinto tutti i combattimenti. E hai ottenuto non solo denaro e pace ma anche gloria. E allo stesso tempo, hai sconfitto tuo fratello e scoperto la crudeltà e la vanità della violenza”.
Quella morale così spudorata, proprio da loro –i programmatori- che mi avevano fatto accanire, desiderare la morte dei miei avversari virtuali e riempito di tic nervosi col loro maledetto arcade… Ma non so perché, proprio quella scritta bianca a riempimento, sull’immagine disegnata di un muro di mattoni, ha fatto scattare una molla. La vera chiave di lettura di tutto, che mi ha permesso di superare gli antichi pregiudizi.
Ed è con questo rinnovato stato d’animo che ho letto le ultime due opere più crude e realistiche sull’argomento: COME UN CANE -graphic novel di Crippa/Ponticelli- e MANI NUDE -il romanzo di Paola Barbato di cui avevo parlato tempo fa-.
Ma questa è un’altra storia…

martedì 24 giugno 2008

Triste e solitaria?


Altro che studentessa universitaria triste e solitaria nella sua stanzetta umida. Altro che sfiducia nell’istituzione scolastica o accademica.
Incollo qui un passaggio davvero illuminante ed arguto (nonché pazientemente riscritto da carta a Word da me medesimo) sull’argomento:

“Nulla è più avvincente di un rigoroso corso scolastico[…] Dico sul serio: esiste qualcosa di più splendido di un professore? Lascia perdere la sua capacità di forgiare le coscienze e il futuro del paese, quella è un’affermazione azzardata; c’è poco da fare quando escono dal ventre materno già destinati alla Playstation. No. Voglio dire che un professore è l’unica persona della terra che ha il potere di mettere una cornice credibile attorno alla vita –non tutta. Dio, no: almeno a un frammento, a una piccola scheggia. Organizza l’inorganizzabile. Lo suddivide abilmente in moderno e postmoderno, rinascimento, barocco, primitivismo, imperialismo e così via. Lo ricuce con tesine, vacanze, esami intermedi. Tutto quell’ordine è semplicemente divino. La simmetria di un corso semestrale. Pensa alle parole stesse: seminario, propedeutico, workshop avanzato di chissà cosa aperto solo a laureandi, dottorandi, ricercatori… e il tirocinio –che parola meravigliosa, tirocinio! Mi prendi per matto? Ma guarda un Kandinskij. Disordinato, incomprensibile: ci metti una cornice e… voilà, fa la sua bella figura sopra il camino. La stessa cosa succede con il piano di studi: quel celestiale, sublime insieme di indicazioni culminanti nella spaventosa meraviglia dell’esame finale. E cos’è l’Esame Finale? Una verifica della comprensione più profonda di concetti immani. Non c’è da stupirsi se tanti adulti desiderano tornare all’università, a tutte quelle scadenze: aaah, quella struttura! Un’impalcatura a cui aggrapparsi! Certo, è arbitraria, ma senza siamo perduti, del tutto incapaci di separare il romantico dal vittoriano della nostra vita triste e sconcertante…”.

Il personaggio che si perde sognante in questa riflessione è un padre (quello della protagonista). La penna è quella di una ragazza americana nemmeno trentenne all’epoca in cui ha scritto questo brano nel 2006: Marisha Pessl, la ragazza nella foto sopra particolarmente riuscita (la foto, intendo).
Il libro è TEORIA E PRATICA DI OGNI COSA, un promettente romanzo di quasi 700 (gulp) pagine.
E questo folgorante stralcio viene appena dall’introduzione...

Promette di essere una lettura mooolto interessante.