giovedì 17 luglio 2008

Perdite in serie (o Riflessione metalinguistica con finale taoista)


Uno degli innegabili vantaggi della rete -soprattutto per i gggiovani- è senza dubbio la possibilità di bruciare i tempi d'attesa per godersi le proprie serie preferite, e spesso anche alcuni film dal Dubbio Destino Distributivo (le mie più odiate 3D).
Oltre a rendere meno ostica la fruizione di video con sottotitoli (cosa che a lungo andare potrà permettere pure un uso più completo del dvd, e magari inaspettati indugi di fronte a qualche film notturno sottotitolato di Fuori Orario), questa pratica ha senz'altro reso più masticabile e meno astruso anche il solo "ascolto" dell'americano. Per lo più quello parlato, certamente, ma in base al registro della singola serie capita anche di sentire espressioni più standard e dalla pronuncia più pulita.
Ora, prescindendo dai discorsi legati alla legalità o alla socialità del download legale o illegale, il dubbio che ho più o meno dagli inizi di questo fenomeno è: che ne è dei giochi di parole, delle ambivalenze linguistiche?
Voglio dire: se un gruppo di fansubber (SANTI INDIVIDUI!!) traduce tutto nell'arco di poche ore e mette in rete l'episodio uscito negli USA il giorno prima -senza l'antico vantaggio di poter guardare e studiare gli episodi successivi- si dà per scontato che se ci sono enigmi o battute legati ad ambiguità della lingua madre che non riguardino una singola battuta ma facciano invece da filo conduttore dell'intera stagione, questi non verranno colti se non da chi quella lingua madre un pò la conosce già.
Certo, coi sottotitoli si possono aggiungere note esplicative a sottolineare eventuali giochi, doppi sensi o semplici curiosità (cosa molto diffusa fra i fansubber di cartoni giapponesi). E poi ci sono i siti di appassionati che sviscerano ogni passaggio poco chiaro o che contenga citazioni, anche solo alla lontana. Ma fino a qualche tempo fa il fan era costretto a seguire -e subire- gli adattamenti italiani fin dall'inizio, spesso perdendo solo delle sfumature ma altre volte anche qualcosa di più.
Insomma: cose tipo "Redrum-murder" invece di "Etrom-morte". O, sempre per rimanere nello stesso spettacolare film, "All work and no play makes Jack a dull boy" al posto del più generico e meno coerente "Il mattino ha l'oro in bocca". E anche se c'era sempre Kubrick a supervisionare tutto, certo non si può dire che il livello di comprensione sia identico in entrambe le versioni...
Questo tipo di problematiche è ancora più presente nei fumetti. Quelli giapponesi in primis, dove i problemi di traduzione a breve, medio e -ahimè- lungo termine portano a delle vere e proprie impotenze da parte dei traduttori, che spesso necessitano di fittissimi interventi in nota o addirittura di pagine dedicate a fine albo per evitare di far perdere ai lettori dei passaggi nella comprensione stessa della trama.
Personalmente credo che nel caso delle serie americane gli sceneggiatori, che di certo non ignorano le dinamiche globali della rete, saranno sempre più attenti a non puntare mai su caratteristiche troppo autoctone -almeno linguisticamente parlando- in favore di una comprensione più immediata ed internazionale. Già adesso accade di meno. Anche nei film, dei quali tra l'altro i titoli qui da noi vengono tradotti sempre meno.
Un grande yang e un -forse- piccolo yin.
-Forse-.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

interessantissimo.
tradurre è distruggere.
è personalizzare.
reinterpretare.
nel caso nostrano nazionalizzare.
la tata è stato adattato da noi in una versione incredibilmente raffinata: lei ha origini italiane ciociare e in america è ebrea; la madre e la nonna da noi sono due zie. non si capisce il motivo. ma nel complesso dell'intreccio narrativo ha coerenza e rende parecchio.
in friends le continue parolacce sono perennemente edulcorate con espressioni quali 'dannazione' e 'accidenti'. ma sinceramente non riesco proprio ad immaginare la voce suadente di eleonora de angelis dire 'cazzo' o 'fottiti'.
ho visto lost con i sottotitoli e l'ho trovata un'esperienza affascinante. anche solo e semplicemente per l'ascolto delle voci originali..
poi quando penso alla frase 'il mattino ha l'oro in bocca' mi vengono i brividi. ma forse è solo una reminescenza associativa relativa al contesto specifico in cui è collocato nel film.

Giangidoe ha detto...

In effetti, come mi fece notare tempo fa un'amica, tradurre e tradire hanno la stessa radice.
Non credo che le traduzioni in sè siano sempre sbagliate. Persino il doppiaggio, che della traduzione cinematografica è solo il mezzo più diretto, ha spesso caricato di intensità ed intenzioni delle voci originali non sempre interessanti e convincenti.
Inoltre diversi titoli italiani sono anche più belli di quelli originali (L'attimo fuggente in primis).
Ma il problema delle ambiguità o dei giochi linguistici, senz'altro legato a trame più complesse o ad effetti comici più sofisticati, rimane in questo ambito un problema insormontabile.
Qui il tradimento supera di gran lunga la traduzione.
Nei casi più maturi di traduzione -come nei casi più maturi di tradimento- quello cui si può aspirare è un compromesso accettabile che non cambi lo spirito di quello che è, che c'è stato e che probabilmente ci sarà.

Anonimo ha detto...

se aggiungi le difficoltà di adattamento dialoghi alla mimica e alla durata del tempo in cui la bocca dell'attore si apre e parla poi..
mantenere il senso.
complicatissimo.
mantendo sintonia con i personaggi e le loro individuali caratteristiche..
è un'arte.
se penso a quanto certe voci si siano tatuate sui miei timpani. e a quanto poi sia spiacevolmente intertestuale e controproducente in certi fasi dell'immersione (tele)filmica rendersi conto che la voce che ascolti è la stessa di quell'attore e di quell'altro, e quell'altro ancora..
dell'intraducibilità del già tradotto

isline ha detto...

Credo che la straduzione non sia un tradimento ma un'interpretazione; con gli audiovisivi spesso i problemi sono legati alla ristrettezza dei tempi di doppiaggio.
Ciò non toglie che per cialtronesche "motivazioni" di marketing siano stati prodotti degli obrobri come "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" tradotto con "Se mi lasci ti cancello"
brrrr
brividi!

Giangidoe ha detto...

@ tuiti:
Il doppiaggio è un mondo oscuro e blindato. Io gli ho dedicato del tempo della mia vita -alla fine più da spettatore che da matricola- ma il fascino iniziale è stato gradualmente diluito da varie componenti negative.
Anche di questo, forse è meglio parlare in altra sede.

@ ilsine:
E cosa dire di "Tre menti sopra il pelo"? La sua natura di sottotitolo lo rende meno obbrobbrioso?

Anonimo ha detto...

mi riallaccio a tuiti notando come certi pesanti interventi volti a nazionalizzare personaggi o situazioni possono anche riuscire molto bene come nel caso della Tata da lei citato, o dello scozzese Willy dei Simpson che per noi diventa sardo; ma poi arriva il giorno in cui gli autori dei dialoghi italiani si trovano sul tavolo l'ultima sceneggiatura in cui la Nanny va in vacanza in un kibbutz oppure quella in cui Willy indossa un kilt e suona la sua scozzesissima pipe e qui si inizia a sentire lo stridore tipico di quando ci si arrampica sugli specchi.

Giangidoe ha detto...

Io non saprei cosa pensare della Tata.
So anch'io della curiosa scelta dei suoi adattatori italiani, che poi sono gli stessi che hanno portato Roseanne di PAPPA E CICCIA a diventare Annarosa e a parlare napoletano.
Sinceramente credo che in generale, e soprattutto per le serie, la nazionalizzazione -o la regionalizzazione- abbiano senso più per personaggi macchiettistici e occasionali che per i protagonisti stessi del telefilm. E questo proprio perchè, a lungo andare, i riferimenti alla cultura o alla nazionalità della versione originale richiederebbero qui da noi -all'uopo- censure e adattamenti sempre più difficili e massicce, quando non dei veri e propri salti di episodio.
Ad ogni modo, anche in quei casi sarebbe sempre utile avere davanti un bel mazzetto di puntate per capire quanto possa reggere quel tale adattamento nostrano rispetto all'evoluzione della serie originale in relazione a quei riferimenti. Cosa che, per i motivi che ho accennato nel post, credo che sarà sempre più difficile in futuro.
Ad ogni modo, la Tata è una grande sit-com. E assieme a Willy il principe di Bel Air e a Otto sotto un tetto, sintetizza la prima metà degli anni '90 nel panorama comico seriale della mia esperienza mediatica diretta.

Franca ha detto...

Nelle traduzioni sicuramente qualcosa dello spirito originale si perde, ma mica tutti possono conoscere la lingua originale...

Giangidoe ha detto...

Verissimo e sacrosanto.
Ed è proprio questo il punto: bruciare i tempi ed evitare adattamenti nei casi ipotizzati -comunque rari- di enigmi linguistici e giochi di parole, presuppone un pubblico che possa cogliere quelle sfumature direttamente nella lingua originale (quasi sempre, l'inglese). E di solito, almeno nel caso dei telefilm, il pubblico giovanile ha sviluppato abbastanza l'abilità in questione. Ma non sarebbe giusto escludere quella parte di pubblico che quella lingua non la conosce (e non ha alcun motivo di amarla) e che avrebbe il diritto di godere dello stesso meccanismo narrativo previsto dalla trama originale ma adattando -si spera egregiamente- quell'artificio al contesto linguistico nazionale.
Per questo credo la tendenza sia quella di smussare o eliminare componenti di questo tipo dalle produzioni di ampio respiro: proprio perchè adattamenti credibili nazionali richiederebbero un respiro ancora più ampio, che andrebbe contro i tempi di fruizione (brevissimi) consolidatisi negli ultimi anni. Anche in questo modo, però, a lungo andare qualcosa si perde...

Matteo ha detto...

Io ormai da diverso tempo seguo parecchie serie tv in contemporanea USA, però con l'aiuto dei sottotitoli perchè sennò non riuscirei ad afferrare tutto. Primo, apprezzo molto la lingua inglese, con tutte le sue sfumature e i suoi dialetti. Secondo, riesco ad apprezzare di più anche la stessa recitazione degli attori. Terzo, non mi perdo i grossolani errori dei traduttori italiani.
Mi sono convinto ad andare avanti - all'inizio ero dubbioso sulla visione delle serie tv in lingua originale - guardando un episodio di Desperate Housewives. 3x01.

Xiao-Mei: You are meanest person I know.
Gabrielle: I am "the" meanest person. You've been in this country a year, modify your nouns, dammit!
Xiao-Mei: What "a" bitch!


Gabrielle fa notare alla tata che è in America da un anno e ancora non ha imparato ad usare gli articoli... ecco che allora la tata risponde con un "What A bitch!", che ovviamente in italiano - Che puttana! non rende.

Okay, può sembrare una sciocchezza... però io a 'ste cose ci tengo. :-P

Anyway, dopo lo sproloquio, ti lascio un consiglio: prova a cercare info su "Dr. Horrible's", nuova serie tv - o miniserie - creata esclusivamente per il web da Joss Whedon! Si trovano anche i sottotitoli :-P

Giangidoe ha detto...

Me l'hanno segnalata proprio oggi!
E poi adoravo Neil Patrick Harris nei panni di Doogie Howser (ci ho scritto pure uno dei miei primi post...).

Comunque, per concludere: anch'io adoro -e spesso preferisco- guardare alcuni telefilm in lingua originale sottotitolati. Sia perchè mi piace la lingua, sia perchè non riesco sempre ad aspettare la versione italiana :P
E anche in quel caso, dipende molto dalla serie: l'eccessiva letteralità dei sottotitoli di una puntata di Scrubs non restituisce quasi mai l'estro un pò folle, sperimentale e immediato dell'adattamento doppiato.
A mio parere, s'intende...

Matteo ha detto...

L'adattamento e doppiaggio di Scrubs, in effetti, non mi dispiace affatto. Adoro, poi, i doppiatori di Cox, Kelso, Turk... ma anche JD, Elliot... si, devo dire che su Scrubs hai ragione. :P