venerdì 17 aprile 2009

I gufi non sono quello che sembrano (e neanche le verità)


"La Red Room, quale luogo della pura simulacralità e della traduzione tra mondi, non è in grado di regolare sè stessa, tant'è che essa corre continuamente il rischio di duplicarsi all'infinito, costruendo una sorta di circuito senza fine di sostituzioni identitarie (si veda il finale del serial, 29a punt, ma anche l'epilogo del prequel, dove c'è una stanza rossa completamente vuota). La Red Room pensa di poter catturare il mondo sensibile dentro il riflesso speculare che in se stessa vuole adibire, ma nel far questo lo uccide (Murder). Per contro -come viene detto in Twin Peaks- la stanza rossa è soltanto un luogo di transito, 'una sala d'attesa', un luogo di dominio fallace."

(Pierluigi Basso Fossali, Interpretazione tra mondi - Il pensiero figurale di David Lynch, Edizioni ETS, 2006).



"Un giorno d'estate mi trovavo in un laboratorio di sviluppo e stampa, le Consolidated Film Industries di Los Angeles. Allora stavamo montando la puntata pilota dei Segreti di Twin Peaks e per quel giorno avevamo finito. Erano circa le sei e mezzo del pomeriggio e ci trovavamo all'esterno dell'edificio. Nel parcheggio c'erano alcune auto. Posai la mano su un tettuccio ed era caldo, molto caldo: non bollente, ma piacevolmente caldo. Stavo lì con la mano poggiata dul tettuccio quando -puf!- apparve la 'stanza rossa'. Quindi i personaggi che parlano e si muovono al contrario e infine alcuni dialoghi".

(David Lynch, In acque profonde, Mondadori, 2008)



"Twin Peaks è diventato un vero e proprio fenomeno di culto; incursione d'autore nel mondo dei telefilm, investigazione metalinguistica sui meccanismi comunicativi tipici del mondo dei serial televisivi"

(Daniele Dottorini, David Lynch - Il cinema del sentire, Le mani, 2004)



"Twin Peaks? Una cosa insensata. Non ricordo neanche più perchè la girai...".

(David Lynch, tempo fa)

13 commenti:

Giorgio Salati ha detto...

ahah, questo raffronto artista-critico è d'antologia!

isline ha detto...

Non ho capito...
"Stavo lì con la mano poggiata dul tettuccio quando -puf!- apparve la 'stanza rossa'. Quindi i personaggi che parlano e si muovono al contrario"
Quindi? Quindi che???

Giangidoe ha detto...

Quindi niente.
Imperscrutabili percorsi della mente.

Unknown ha detto...

adoro quest'uomo.

Giangidoe ha detto...

Grazie, grazie, troppo gentile.
Come? Ah, ti riferivi a Lynch?
Beh, in effetti io ho cominciato con gli anni a sviluppare sentimenti contrastanti: genio, improvvisazione, new-age, arte, semiotica, deliri, gaffe...
Elementi troppo eterogenei per capire se i suoi lavori vadano studiati ed analizzati minuziosamente come eccentriche opere d'arte ricche di simbolismi nascosti o se in realtà non vadano poi troppo al di là delle grottesche trovate oniriche con cui vengono spesso improvvisati.
E se lo dice un appassionato come me, figuriamoci come la pensano i suoi detrattori...

MA! ha detto...

Mi ricorda quell'intervista fatta a Bava, da parte di una giornalista francese, circa il significato del cartello basculante alla fine di "Sei donne per l'assassino". Dopo mille speculazioni da parte della critica Mario Bava confessò di non ricordarsi neppure come finiva il film! Eppure speculare è così affascinante e stimolante, contibuisce non poco nel far godere di un'opera. Questo per dire che gli autori devono fare gli autori, mentre i critici hanno il compito di analizzare il loro lavoro. Questo significa valorizzarlo, sviscerarlo e consegnarlo all'immortalità. Se ci limitassimo ad ascoltare Lynch TP sarebbe solo un telefilm tra mille, analizzandolo e trovandoci 1000 significati (e trovando quali sono quelli veri, contestualizzando il telefilm nel resto del lavoro del regista) lo abbiamo reso un culto. Mi pare un bel meccanismo, no?

Faust VIII ha detto...

Beh, i critici a volte, come avete detto, possono anche far emergere significati che all'autore dell'opera stesso non erano venuti in mente. Banana Yoshimoto in un libro-intervista su di lei e sul suo modo di scrivere, disse che, una volta che li ha terminati, i suoi romanzi diventano in qualche modo "altro da lei" e che non sono più l'opera che aveva in mente. Perciò non si fa troppi problemi di quello che dicono i critici o di come viene resa una traduzione. Forse questa visione potrebbe essere estesa all'arte in generale: una volta terminata, un'opera d'arte non è più dell'autore, ma appartiene alla collettività e quindi, ognuno la interpreta come vuole.

tuiti ha detto...

sempre interpretazione. sempre di questo processo incessante di distruzione/costruzione parliamo. e facciamo bene a parlarne. per abbattere i dubbi che ci attanagliano. circa i nostri miti. circa l'eventualità remota e sconcertantemente minacciosa che i significati reconditi e subdoli che individuiamo e tendiamo a ricercare nelle opere che più ci affascinano, siano un puro e semplice parto delle nostre menti malate. più malate di chi ha dato vita all'oggetto (pluri)semantico analizzato.
ma mi dà soddisfazione. devo ammetterlo. mi dà un senso di serenità diffusa avere la conferma che l'autore stesso non avesse la più pallida idea di cosa stesse facendo.. mi aiuta a reincasellarlo in un'ottica più leggera, permettendomi di amarlo di più, proprio perchè autore-disfattista del proprio creato..

Giangidoe ha detto...

In effetti io stesso -per quanto ami la critica o la saggistica del settore- sono il primo a prendere i contributi critici con le dovute "pinze", e ci metto un bel pò prima di capire se potermi fidare degli strumenti di analisi ed interpretazione di una penna piuttosto che di un'altra.
So anche che bisogna dare un peso diverso ad una critica più ampia e strutturata piuttosto che ad una recensione fresca, che tende magari a miscelare suggestioni critiche radicate ad emozioni più o meno recenti legate all'opera vista.
Quello che però mi chiedo è: quando la soggettivizzazione di un'opera porta a riconoscervi, con l'uso di consolidati strumenti di analisi -dalla narrativa alla semiotica ecc.- dei significati e dei piani di lettura che fanno sghignazzare persino l'autore stesso (e può darsi che non sia neanche il caso del furbo Lynch), come si deve considerare la critica?
I critici -o gli storici- dell'arte, ad esempio, tendono ad affermare che la critica nel loro campo non è un insieme di riflessioni elaborate, bensì una scienza quasi esatta: come a dire che gli strumenti sono dati e sono tanti, e bisogna solo saperli applicare per decifrare le opere.
Mentre invece, si sa qual'è l'opinione popolare più diffusa sui critici in generale e sul loro ruolo nei confronti della disciplina cui appartengono.
Allora qual'è la verità? Anche in questo caso, starebbe nel mezzo, fra analisi "esatta" e mistificazione?

Ad ogni modo, si: è un meccanismo affascinante.
Solo che l'effetto che talvolta ha sulla mia idea degli autori non è sempre orientato ad amarli di più. Al contrario: qualche volta mi sembra di essere proprio preso per i fondelli...

tuiti ha detto...

sai che dopo la prima visione di Mulholland Drive la sola cosa a cui riuscivo a pensare era al ghigno divertito che avrebbe fatto Lynch nel leggere le interpretazioni che ne avrebbero dato?

Giangidoe ha detto...

Ma credo che sia anche peggio di così.

PS: Sai che ho visto Mostri VS Alieni, e non mi ha diverito neanche un pò?
L'ho trovato banalotto e decisamente poco innovativo anche come stile.
Che sia un segno del nostro lento ed inesorabile "degemellamento empatico"? ;)

tuiti ha detto...

non dirlo neanche per scherzo!!!
mi arrabbio, eh.. almeno un compleanno festeggiamolo!
sei tu che hai lasciato il commento che vota alla fine 6-?

Giangidoe ha detto...

Ma certo che lo festeggiamo! Anche più di uno, mi (ci) auguro!

No, non ero io quello. C'è però da dire che la mia opinione del film è persino un pelo più severa, laddove io non l'ho trovato neanche divertente.
Ma può anche darsi che non l'abbia visto con lo spirito giusto, eh!